Felicemente archiviata
l’Otonga Ultramarathon dello scorso anno, non avevo programmato nessuna
faticaccia per questa torrida estate 2003.
Così, per prepararmi
con onore all’ingresso nel club degli anta, purtroppo previsto per il
prossimo anno, mi sono limitato a partecipare all’Otztaler Rad
Marathon di Solden in Austria,
una granfondo
ciclistica di 238 km con 5500 metri di dislivello. Quando decisi di
partecipare, le iscrizioni erano già chiuse (3300 corridori) e dovetti
contattare più volte gli organizzatori per trovarvi un posticino.
Un gruppo
così consistente di utenti, ad una gara di impegno non comune neanche nel
panorama professionistico, credo sia un ghiotto bacino di studio per molti
psicoanalisti! D’altra parte però questi corridori non saranno mica tutti
matti? All’Otonga Ultra Marathon eravamo solamente Daniele ed io; era quindi
difficile trovarne uno sano, ma a Solden saremo in migliaia ed io
sarò sicuramente tra questi. Ecco il vantaggio delle endurance
ufficiali!
Per prepararmi
all’evento, avevo tolto molti sassolini conficcatisi da anni nelle
scarpe; in varie uscite solitarie avevo salito il Grappa, passo Duran,
Cereda, Tre Croci, Gran San Bernardo (da Donnas), ecc. Le 9-10 ore in sella
non erano più un problema, anche senza tanti integratori scientifici.
A mezzogiorno, quando vedevo riempirsi i parcheggi delle trattorie, io mi
fermavo al supermercato…… Solamente il fondoschiena ogni tanto emanava
qualche imprecazione, ma cercavo di…soprassedere.
Senza dilungarmi oltre,
veniamo al pomeriggio di sabato 30 agosto, vigilia della gara. Pioveva, le
previsioni meteo fornite dagli organizzatori davano per il giorno dopo una
fresca e piovosa giornata autunnale:” ma- continuava il comunicato -
ci sarà anche il sole”. Veniva subito da chiedersi: autunnale per noi
oppure per loro, che aprono la prima gara FIS di discesa ad ottobre?
In paese si passeggiava
confortevolmente anche indossando tutto l’abbigliamento portato da casa.
Molti ciclisti, forse per acclimatarsi meglio, continuavano a pedalare
fradici; altri, invece, guardavano sempre verso l’alto. Era quasi sera, a
mio parere non restava che cenare e dormire… sereni.
Suona la sveglia, sono
le 4:30, è già domenica mattina. Con gli occhi semichiusi mi dirigo verso la
finestra per le rilevazioni meteo. Fuori piove, con vigore; c’è anche del
vento, naturalmente contrario al senso di gara. Guardo in alto per quel
poco che riesco a penetrare le tenebre e non vedo bianco: “ almeno la
neve non è proprio sopra di noi” penso.
Partirò con qualsiasi
condizione. Ho previsto undici ore di gara (in condizioni normali), mi sento
molto bene e sono convinto che, azzeccando l’abbigliamento giusto, non ci
dovrebbero essere problemi. Ho impostato la stagione su quest’unico
obiettivo, non posso disperdere tutti gli sforzi fatti ed il costo della
trasferta senza neanche provare a partire.
Faccio colazione e mi
vesto con calma; di sicuro oggi non mi presenterò al via con un’ora di
anticipo per guadagnarmi una buona posizione. Indosso la divisa invernale al
gran completo con pantaloncini corti, ricopro le parti scoperte con un
miscuglio di unguenti (almeno uno funzionerà!) ed esco verso l’ammassamento.
Una piccola tregua della perturbazione facilita le operazioni di attesa;
sono pigiato nel gruppo, ma non provo disagio, anzi! Mi sono allenato ai
35-40° di S. Polo, per gareggiare a 0+5°, come la paraffina degli sci!
Alle 6:25, pochi minuti
prima della partenza, è ancora buio. Non piove, però ci troviamo avvolti
nelle nuvole basse. Le insegne luminose sfumano i loro colori in quella
strana nebbia, creando uno scenario apocalittico. Alcuni ciclisti indossano
sulla testa una borsetta della spesa; altri due paia di pantaloni
impermeabili. Un collega alla mia destra ha uno zaino da trekking
(probabilmente con pentolino e fornello), spuntano anche degli
pseudoscarponi da sci. Chi ha portato solo i guanti tagliati indossa
sopra quelli usa e getta. Ognuno di noi cerca di proteggere meglio che può
la parte più importante del proprio corpo. In molti sorridono, ma la fifa è
grande. Oggi non si scherza! O ci si ritira subito ( “era meglio
restare sotto le coperte al caldo” ) oppure si fa il giro, e che giro!
Non si può tagliare tra i ghiacciai!
Lo speaker si esprime
in tedesco inframmezzato da qualche breve spot in italiano. Capto così che
si partirà regolarmente perché, ci tiene a sottolineare, al primo passo, il
Kuhtai (mt 2000) ci sono 6°C. “Che strano” penso, qui da noi ,600
metri più sotto, ce ne saranno forse 3 di gradi .
Allo sparo che dà il
via, inizia a piovere sempre più intensamente. La visibilità è minima.
Davanti a noi, giusto per scaldare la gamba, ci sono subito 25 km di discesa
a tratti anche ripida. Cerchiamo di prestare tutti la massima attenzione, la
velocità è molto sostenuta. Io sono riuscito a partire in una buona
posizione evitando così gli effetti fisarmonica. Dobbiamo dribblare anche
numerosi spartitraffico segnalati dai pompieri. E’ curioso notare che alcuni
addetti si posizionano davanti con bandierina e fischietto, mentre altri,
più cautamente, dietro al rassicurante blocco in calcestruzzo.
A fine discesa, quando
ormai è giorno, mi trovo intorno alla trecentesima posizione. Dietro a me,
dei rimanenti tremila, molti sicuramente saranno rimasti a letto. Vedrò alla
fine se avranno avuto ragione.
Svolto a destra per
iniziare il primo Piancavallo della giornata. A metà salita
finalmente raggiungo una discreta temperatura corporea. In alto però, poco
sopra a dove andrò a scollinare, vedo del bianco.”Che strano” mi
ridico, nevica a 6°! Prima della fine, conosco un ragazzo di Maserada che
gareggia con i Diavoli del Montello; mi comunica che ha freddo, lo
comprendo, abituato come sarà a quelle temperature infernali!
Inoltre, cosa più interessante, capisco dalla sua precedente esperienza che
potrei limare un’oretta alle mie previsioni, puntando alle 10 ore finali.
Arrivato al ristoro
posto sul passo Kuhtai chiedo del the Caldo. “No, no Kalt” mi
rispondono! “Warm, Warm… Ciameo come che voè!”. Riempio pancia e
borracce per poi tuffarmi nella discesa.
Piove ancora molto, ci
sono tratti al 16-18% di pendenza. La mente vorrebbe frenare, ma le dita
intirizzite come nelle gare invernali sugli sci pensano solo a perdere quota
velocemente (Kuhtai, dall’inglese to cut = tajar i dei). In due
occasioni trovo perfino delle mucche dalle lunghe corna acuminate al
pascolo sulla strada. Alcune di loro hanno il pelo molto lungo, assomigliano
agli yak himalayani. Faccio il possibile per evitare loro e le relative
tortine fumanti disseminate ovunque.
Finita la discesa, mi
trovo ormai in prossimità di Innsbruck, ci sarebbe qualche km pianeggiante;
ma, per sfruttare bene la scia bisognerebbe avere un parabrezza. La gara
continua ad essere individuale e, visto che pianura non ne dovrei più
trovare, probabilmente durerà così fino alla fine.
Giro ancora a destra
verso il Brrr-enner pass. Sopra di me, dal ponte dell’autostrada,
alcuni jumper ci offrono il loro spettacolo: chi tra noi sarà il più matto?
La pendenza è moderata, un Fadalto ripetuto due volte. Fatico a stare con il
treno; mi lascio sfilare senza problemi aspettando altri viaggiatori.
Insieme a loro, stringendo un po’ i denti, riacciuffo i fuggitivi in
prossimità del Brennero. Proprio oltre il confine, trovo il secondo ristoro;
chiedo del the Warm (con spiccato accento tedesco). Purtroppo sono…
italiani! Riempio tasche e contenitori per poi proseguire. Più avanti,
sorseggiando in piena discesa ventata, la pancia si contrae; mi accorgo
così, che effettivamente il liquido è caldo, ma non si tratta di the, è
brodo! Volevo una gara dura? Eccomi… servito, mancano solo i cubetti
di pane biscottato.
Sto ora scendendo verso
Vipiteno, spunta un pallido ed inutile sole autunnale, la strada non è
tortuosa e finalmente posso mangiare in discreta tranquillità.
Questo lusso
dura poco, perché ho davanti a noi il Passo del Giovo. Si tratta della terza
salita della giornata: il Cansiglio. In piena digestione e con i muscoli di
vetro mi sento subito a disagio. Innesto immediatamente un rapporto agile
per cercare di non spezzare i quadricipiti, favorendo così l’allontanamento
dei miei compagni.
E’ mezzogiorno, gli
spettatori sono scomparsi, attratti probabilmente dai camini e dai piatti
fumanti. Mi trovo a circa metà gara, anche se sto salendo a 850 m/h la
situazione non giova molto a mio favore. Sono convinto però che più
avanti avrò ancora modo di divertirmi, basta superare il momento.
Superato anche lo
Jaufenpass, si apre davanti a me la verdeggiante Val Passiria. La discesa
veloce mi permette di recuperare gratuitamente parecchie posizioni; la quasi
totalità dei miei compagni d’avventura è equipaggiata di mantellina
offrendo parecchia resistenza all’avanzamento; così, io raggiungo e supero
l’ormai dimenticato amico di Maserada.
Nei pressi di San Leonardo finisce il divertimento e s’inverte la pendenza.
Ancora poco più di un Manghen all’arrivo, ma si tratta pur sempre
dell’ultima salita.
Finalmente il barometro ha puntato al bello, siamo in primavera; si sentono
gli uccelli cinguettare. Molti concorrenti si fermano a togliere
l’impermeabile, alcuni indossano i pantaloncini corti, altri sfilano i
manicotti. Anch’io, dopo quasi sette ore in sella, sento la necessità di
abbassare la cerniera del giubbetto in Windtex. Ai lati della strada ci sono
parecchie panchine per i picnic; molti di noi, se potessero fermare il
cronometro, si distenderebbero volentieri al sole per riscaldare le ossa.
Lo stridore della catena sgrassata dalle intemperie mi riporta alla realtà;
è paragonabile ai cingoli di un carro armato, devo trovare al più presto
dell’olio. Chiedo qua e là, ma non ne trovo. Alla fine, grazie ad una timida
risposta negativa, entro quasi di forza dentro il bagagliaio di un’auto,
m’impossesso del prezioso lubrificante, guadagnandomi anche una bella
spintarella per ripartire.
Ormai la pendenza si è fatta seria, non riesco però a vedere tutta la
salita, leggo così curva dopo curva, una pagina alla volta.
Alcuni atleti, forse in una situazione di smarrimento, non avendo più marce
da scalare, si aggrappano alle rocce sporgenti per riceverne una spinta
uguale e contraria. Trovandomi in una posizione discretamente avanzata,
cerco di immaginare le scene che si verificheranno in questi luoghi tra
qualche ora.
A sinistra in fondo, poco più alto di noi, il ghiacciaio dell’Hochtirst ,con
le sue numerose fauci aperte, aspetta golosamente i corridori meno preparati
(e forse più in carne).
In questa lunga salita (30 km), l’organizzazione ha predisposto dei ristori
volanti come al Tour: si affiancano con una Smart per offrirti Red Bull su
un bicchierone usa e… riusa. La cosa non mi spaventa, siamo vaccinati. Dopo
gli esami del brodo e degli spruzzi al bitume e con la glicemia al minimo,
quest’acqua gassata addizionata a zucchero e caffeina, diventa un elisir
dall’effetto esplosivo.
Ad una decina di km dalla Cima Coppi si leva il vento, non sono più
protetto dai monti: un tornante è a favore ed uno contro. La primavera oggi
è durata poco, siamo di nuovo in autunno. Devo rivestirmi prima che si
grippi tutto.
Ogni tanto qualche collega, forse tradito dal mio sponsor: Holz Profil,
tenta un dialogo in tedesco; lo comprendo lo stesso, gli argomenti ormai
sono pochi, basta guardarsi sugli occhi. Tra poco entrerò nella galleria
sommitale che, dopo avermi riscaldato, mi mostrerà il tanto sospirato
Timmelsjoch (passo del
Rombo). In dialetto dovrebbe significare: ti se scioc (a farla in
bici!)
Transito sul colle dopo 9 ore e 20 di corsa, mi sento ancora molto reattivo;
il 39/30, nei tratti finali dove c’è anche la maggior pendenza, è stato un
ottimo alleato.
Mi getto subito nella discesa con il massimo rapporto, mi piacerebbe finire
la fatica entro le dieci ore, ma sento che sarà difficile. Superate le due
ultime asperità di cento metri ciascuna, non resta che discesa; ventata, ma
solo discesa. Da dietro purtroppo non arriva nessuno ad aiutarmi e gli
avversari che supero non riescono a tenere la ruota. Così, al limite
cronometrico, svolto per l’ultima volta a destra alla Valentino Rossi e
rilancio l’andatura nel breve rettilineo finale. Il freddo
rilevatore però dice: 10:00:35. Peccato, è mancata la ciliegina sulla torta,
ma… mi sento gonfio lo stesso. Prima di me sono arrivati 230
corridori, ottimo piazzamento per le mie attese e possibilità.
Verso sera, uscendo dalla Freizeit Arena mi sentivo quasi rinato. Una lunga
doccia bollente, accompagnata da un pranzo-cena non stop, avevano trattenuto
dentro il palazzetto di Solden ogni fatica. La temperatura si era
ulteriormente abbassata. Da valle soffiava un forte vento in direzione
Timmelsjoch. Cominciavano ad arrivare i primi concorrenti muniti di
passamontagna. Ma i corridori che dovevano ancora passarla quella montagna
(si poteva transitare in tempo utile fino alle 19:30) come sarebbero
arrivati? Sicuramente a notte fonda; e, probabilmente molto felici per la
loro impresa cronofisiologica.
Sono arrivato alla conclusione e non vi ho ancora parlato della quarta
stagione: l’estate, il felice periodo delle vacanze, la bella stagione per
antonomasia, quella che non ho incontrato. La porto sempre con me, nascosta
dentro di me. E’ quel calore interiore che mi permette di coltivare,
crescere, per poi far fiorire, nuove avventure.
… Cercate e …
troverete!
Flavio.
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