Non
sono il quinto evangelista e non sono neanche un diplomato ISEF. Ho
semplicemente raccolto l’invito dell’amico Leo a scrivere sui temi
dell’allenamento e dell’alimentazione. Non avendo quindi voci in
capitolo per fornire consigli, mi limiterò a raccontare le mie
esperienze, abitudini e punti di vista. Per chi volesse una tabella
dettagliata o delle spiegazioni scientifiche sul tema, ci sono
un’infinità di manuali in libreria.
Ho iniziato a correre a piedi all’età di dieci anni partecipando alle
marce non competitive. La Colfranculana non esisteva ancora, non c’erano
molte associazioni podistiche, eravamo praticamente agli albori di questo
movimento di massa. Alla domenica, mio padre, dopo la Messa prima obbligatoria, stipava me ed altri miei coetanei nel suo 128
famigliare. Spesso eravamo in molti, quindi qualcuno era ospitato nel
bagagliaio. Eravamo negli anni dell’Austerity; le mamme lasciavano che i
loro piccoli uscissero in bici da soli ed essi raggiungevano
l’appuntamento con i loro amichetti, anche con la brosa.
D’inverno, quando ci spogliavamo in macchina prima della partenza,
cercavamo di fare squadra stando
molto uniti per scaldarci! Indossavamo una maglietta di cotone anche con
la neve, era naturale così; inoltre i migliori correvano in questo modo e
noi non potevamo essere da meno. Coloro che correvano con il maglioncino
erano giudicati poco grintosi ma
confesso che la nostra pelle, nonostante il coraggio, assumeva un effetto istrice.
Correvamo mediamente una distanza di 12-13 chilometri. Un percorso
inferiore era giudicato corto e già
allora apprezzavo la lunghezza forse più della prestazione cronometrica.
Quando non c’erano manifestazioni in zona, Ignazio, mio padre,
organizzava un allenamento comunitario, un
ritiro (sempre oltre i 10 km). Ricordo in modo particolare uno di
questi: una domenica dovevamo percorrere tre giri di quattro chilometri.
Qualcuno sbagliò itinerario perché non conosceva la strada, altri
sbagliarono pur conoscendola (tagliarono). Io conoscevo il percorso, non
tagliai, però alla fine del secondo giro, mia madre offrendomi il the con
i biscotti, mi assicurò che poteva bastare.
Brontolai un poco, pensavo di poter recuperare proprio nell’ultimo giro,
ma i distacchi però erano talmente abissali che alla fine mi convinsi.
In quegli anni la ditta Enervit forse non era ancora stata costituita; la
mia razione pre-gara prevedeva un sostanzioso sbattudin
corretto marsala. Immaginate le conseguenze. Dopo qualche chilometro lo
stomaco si irrigidiva, mi piegavo e, premendo forte sulla pancia,
proseguivo fino all’arrivo. Erano avventure semplici, ingenue, allora
naturali. Non sono trascorsi moltissimi anni ma oggi, solo a pensarci,
accelero lo sbiancamento della mia capigliatura.
Continuai a correre fino a sedici anni in questo modo, apportando
miglioramenti solo alla colazione. Poi guadagnata ed acquistata la mia Vespa
special games, misi le ali sotto
i piedi. Tra fidanzata, militare, casa, matrimonio e nuovo lavoro
volarono oltre dieci anni. A ventisette anni planai
nuovamente verso la base.
Iniziai con le mie prime escursioni in montagna, qualche corsetta
a piedi e… la scoperta di un nuovo mondo: aiutato da Giuliano, iniziai a
sciare.
Fu traumatico, Walter, Eugenio, …gli amici-nemici di un tempo,
sfrecciavano velocissimi, mentre io non riuscivo a stare in piedi. C’era
troppa diversità, non potevo andare così piano. Iniziai così ad
allenarmi, prima timidamente, poi in modo sempre più intenso. Ho
affrontato anche qualche malanno o infortunio che, invece di frenarmi, mi
hanno dato… un effetto sci.
Ho commesso sicuramente molti errori di alimentazione, preparazione, soste
prolungate, ecc. Probabilmente senza saperlo ne sto facendo anche in
questo momento, ma sono contento così. Tutto si evolve e un consiglio che
avrei potuto dare ieri, domani potrà forse essere l’opposto.
Alla base di tutto c’è il mio pensiero da amatore. Sono un’atleta che
ama lo sport e che quindi, come in tutti gli amori, si comporta seguendo
l’istinto, le sensazioni..
Sicuramente se fossi nato campione, con le idee che avevo da piccolo non
avrei ottenuto nulla, ma potendo rinascere, forse inizierei con distanze
più corte, discipline più tecniche, per aumentare velocità, potenza e
migliorare le abilità motorie. C’è sempre tempo per tramutare il tutto
in resistenza e poi non siamo tutti uguali, al contrario, le differenze
tra individui sono tante. Anche i medici ed i preparatori sono diversi,
quindi, al di là dei consigli, resta dello spazio per la
personalizzazione.
Secondo me, è bello praticare molte attività. In questo modo forse non
si otterrà il massimo, però ci si può avvicinare di molto, lasciando
così un piacevole alone di mistero sulle reali, massime, possibilità di
performance. Inoltre si conoscono molti luoghi, persone, non ci si annoia,
e, da non sottovalutare vicino agli anta
si riducono le possibilità di infortunio. Uno specialista invece, volendo
raggiungere il massimo, sicuramente non inizierà a ventisette anni e poi
dovrà mentalmente impegnarsi di più, perché negli anni gli stimoli
diminuiscono: ma, se non è un vincente a cosa serve?
La continua evoluzione dei materiali, dell’alimentazione e delle
tecniche di allenamento avvenuta in questi anni, rappresenta un insieme di
varianti che consentono comunque allo specialista di ritoccare, per
esempio, il proprio personale in maratona, anche in un’età non più
favorevole, per cui credo che, dopo tanti anni, sia difficile uscire dal
proprio guscio, rinunciando alla faticosa reputazione conquistata, per
rimettersi in discussione in un’altra attività.
Il lavoro, ahimè irrinunciabile, rappresenta una cospicua parte di tempo
trascorso nella nostra breve vita. Inoltre diventa sempre più stressante
e specialistico e allora, perché non rifarci almeno diversificando i
nostri impegni nello sport? Può essere certo un modo faticoso di creare
varietà nella nostra vita, ma è impagabile se pensiamo che ci consente
anche di rilassarci e divertirci. Faccio anche un’altra considerazione,
personale, semplicistica, forse anche di comodo: 100000 anni fa, nel
Neanderthaliano, l’uomo si muoveva tutto il giorno per cacciare. 20000
anni fa cominciò ad emigrare dall’Africa e la comunità che si fermò
in Europa cominciò a dedicarsi all’agricoltura. Correva forse meno, in
compenso il lavoro era più pesante. Con la rivoluzione industriale, non
moltissime generazioni fa, soprattutto nel nostro Nord-Est, c’è stato
un’ulteriore rallentamento. Ora possiamo affermare che ci siamo quasi
fermati. Il nostro corpo ha avuto modo di adattarsi altrettanto
rapidamente? Senza fatica e senza movimento, i nostri muscoli non sembrano
sproporzionati davanti alla tastiera di un computer? Nelle belle domeniche
di sole, seduti davanti il televisore, non sentite dentro di voi la vocina
dei vostri antenati?
Il
tempo da dedicare allo sport.
Il
tempo da dedicare a questo hobby è un problema (o una scusa) per molti:
dipende molto da che posizione occupa nella scaletta delle priorità della
nostra vita. Il minimo per mantenere o non peggiorare di molto (dipende da
cosa si ha alle spalle) le proprie possibilità, è di una seduta anche
breve la settimana (difficile trovare una scusa se non si è ammalati più
di sette giorni consecutivi). Per molti sport bastano due brevissime
uscite di 25-30’ a piedi infrasettimanali (il tempo di Striscia la
notizia) per apportare graduali miglioramenti. Personalmente, sommando
escursioni, allenamenti e gare, raggiungo mediamente 365 ore l’anno, una
il giorno. Non nascondo che alle volte, per raggiungere l’obiettivo,
leggo il giornale pedalando sui rulli. Questa sciocca soluzione ha il
triplice beneficio di: sciogliere la muscolatura degli arti inferiori,
rendere il movimento autonomo, cioè con il minimo dispendio mentale e…
di istruirmi.
La
frequenza.
Non
mi alleno tutti i giorni, osservo generalmente la regola della
Supercompensazione, una reazione fisica all’allenamento. Faccio seguire
un giorno di riposo ad un allenamento, perché la fatica derivante dal
lavoro svolto provoca una diminuzione della condizione iniziale, mentre la
fase di recupero dovrebbe apportare un miglioramento rispetto alla
condizione di partenza. Nel finale di stagione, nei giorni di recupero,
inserisco brevi sedute d’allenamento nell’attività che andrò in
seguito ad iniziare (es. 2-3 km a piedi), per abituare gradualmente la
muscolatura. In allenamento è importante non provocare dolori muscolari
perché anziché migliorare portano un peggioramento, mentre in gara è
bene giungere a tale condizione solo in situazioni speciali.
Gradualità
e Costanza.
A qualsiasi
livello, per ottenere miglioramenti duraturi e significativi, sono
importanti due principi: Gradualità e Costanza, regola d’altronde
applicabile a tante altre esperienze della nostra vita.
A volte faccio però delle eccezioni: ad inizio maggio dello scorso anno,
ad esempio, sopportavo bene
200 chilometri in bici da solo. Una frattura al piede destro, mi costrinse
a due mesi di assoluto riposo (poche attività sportive consentono un
movimento disinvolto con quelle robuste calzature di gesso). Avevo
accumulato dentro di me una tale carica che, a nove giorni dal consenso
del fisiatra, partecipai alla Pinarello, una Medio Fondo in bici.
Allenatomi gradualmente gli otto giorni precedenti e sommando l’esperienza ad
un poco di ponderata pazzia, mi
presentai alla partenza. Qui, i larghi camici bianchi erano stati
sostituiti dalle colorate ed attillate divise dei concorrenti; la gioiosa
musica di intrattenimento, la voce dello speaker e la giornata radiosa,
contribuivano a riscaldare l’ambiente. In pochi giorni ero ritornato tra
i normali. Il piede convalescente che mi faceva ancora zoppicare e non
mi permetteva di alzarmi sui pedali fino alla sera precedente, era perfettamente
guarito.
Conclusi la gara con un buon anticipo rispetto alla mia più rosea e
realistica previsione, inoltre, non sentii praticamente nessuna fatica nei
giorni seguenti. Probabilmente l’adrenalina ha anche questo effetto. La
soddisfazione per aver creduto nelle mie possibilità fu molto grande.
Il
programma di allenamento.
Il
mio programma di allenamento, si basa generalmente sulle ultime gare della
stagione che andrò ad affrontare e di conseguenza viene elaborato, in un
certo senso, a ritroso. Non
ho bisogno di innalzare la resistenza aerobica perché sono attivo tutto
l’anno, quindi, inizio aumentando gradualmente in quantità per allenare
i muscoli specifici, cercando di curare anche la tecnica. In seguito
introduco anche la qualità, ma siccome di solito le competizioni che mi
prefiggo sono molto lunghe e la mia stagione è corta, spazio per i lavori
di forza-velocità ne resta sempre poco. A volte, per unire le esigenze,
dopo un riscaldamento faccio delle ripetute e finisco con un lungo-lento.
Trovo importante comunque, aldilà di tutte le tabelle preconfezionate che
si trovano ovunque: allenarsi tenendo conto delle proprie sensazioni in
proiezione della meta finale, cercare di variare itinerario salvo che non
si stia facendo un test e variare anche il tempo di esecuzione.
I
test.
Nelle
gare molto lunghe, programmo sempre un test a ritmo di gara 15-20 giorni
prima. Percorro una distanza inferiore del 20-25% e calcolo se la benzina
sarebbe bastata per arrivare alla fine della gara vera. Il giorno dopo mi ascolto,
cerco di capire se l’adrenalina aveva falsato le sensazioni. Se è tutto
a posto mi sento più tranquillo, sereno, potendo così scaricare fatica
fisica e tensione mentale. Come disse un autore anonimo: la
mente è qualcosa che serve per pensare, non per preoccuparsi.
Per ogni sport ho il mio percorso preferito: nel ciclismo, il tempo
della salita al passo S.Lorenzo vale come la Carta d’identità, per le
cronoscalate a piedi c’è il Rif. Dei Loff, con gli skiroll la salita al
Pian de le Femene, ecc. E’ importante provare sempre lo stesso
itinerario nelle verifiche: serve per vedere lo stato di forma rispetto al
passato o per misurarsi a distanza con gli amici
Quando
e perché iscriversi alle gare.
Una
regola importante è: nell’incertezza di partecipare o no ad una
manifestazione… iscriversi sempre. Se poi è di lunga durata, meglio
farlo con largo anticipo.
Se la mente si pone il quesito, ci sarà un motivo, vorrà dire che c’è
qualche possibilità di riuscirci. Qualche volta il traguardo mi è
sembrato irraggiungibile, altre in altri casi la fatica è risultata
minore del previsto (di solito quando c’è stato un buon riscontro
cronometrico). Alla fine poi le situazioni si compensano.
La
condotta di gara.
Nella mia condotta di gara, s’intravede sempre la regola fondamentale
del maratoneta: i secondi guadagnati
alla partenza equivalgono a minuti persi alla fine. Non vale per tutti gli
sport mi direte, infatti, questa è la causa della mia poca amicizia con
lo skiroll in piano con partenza in linea. Praticando il ciclismo ho
migliorato nelle variazioni di ritmo, ho capito che in molti casi
l’ultima cosa da perdere è la ruota di chi ti precede, ma spesso subire
uno scatto mi costa molto, troppo. Colpa anche degli allenamenti. Bisogna
però considerare, che non tutti abbiamo fibre bianche cioè a contrazione
veloce. Si dice che i migliori maratoneti abbiano una percentuale
dell’80% di quelle rosse (lente), i ciclisti il 60% mentre i velocisti
solo il 40% con il restante 60% di veloci. Sembrerebbe che questa
differenza condizioni fin da
piccoli la scelta di un’attività rispetto ad un'altra, in base ai primi
risultati. Personalmente ho notato che, fin dall’inizio di una nuova mia
attività, la differenza che c’era tra me ed un amico anche lui alle
prime armi, si è protratta in maniera pressochè uguale nel tempo (a
parità di allenamento).
L’economia
del movimento.
Ho
letto dell’economicità della corsa ed ho provato ad applicarla. Serve
per compiere un movimento consumando meno energia possibile. Muoversi con
una buona tecnica ma anche correre rilassati è sinonimo di economia. In
maratona, non avendo mai riposo, cercavo di sdoppiarmi. Lasciavo che il
corpo avanzasse a velocità controllata (forse era solo immaginazione),
mentre io (la mente), controllavo dall’interno i movimenti. Nel
ciclismo, ma anche nello sci nordico su lunghe distanze come alla
Campolonga, c’è la possibilità di rilassarsi in corsa. A volte si
hanno delle sensazioni molto belle, quando sembra che la bici o gli sci
vadano da soli. I movimenti diventano automatici e sciolti, la pedalata o
la danza diventano molto piacevoli e scompare la fatica. Ci si rende
immediatamente conto della vantaggiosa posizione dell’econometro.
In merito a come riposare le gambe sciando, ho provato nelle lunghe e
facili discese, la posizione di appoggiare i gomiti sulle ginocchia: si ha
la sensazione di stare seduti in corsa.
Il
defaticamento.
Il
defaticamento, inteso a velocità molto blanda (non come una volta), ha la
sua importanza, perché accorcia il tempo di recupero smaltendo
rapidamente l’acido lattico, è facile da praticare soprattutto per chi
come me non deve rilasciare interviste! Nelle gare impegnative, lontano da
casa, quando ne ho la possibilità, una bella doccia ed un breve riposino,
mi tolgono buona parte della fatica.
Lo
stretching.
Quando correvo a piedi, facevo molto stretching, negli altri sport non
l’ho trovato così fondamentale, ma mai sottovalutato. Attualmente dopo
una corsetta a piedi vicino
casa, di solito faccio 10-20’ di rulli, questo solo perché i muscoli
sono abituati a quel movimento, altrimenti avrei dei dubbi
sull’efficacia della seduta.
I
massaggi.
I massaggi
non so cosa siano; con questo non voglio dire che siano inutili, ma non li
ho mai fatti. Di solito, soprattutto nel ciclismo, o in genere quando
piove, uso delle creme riscaldanti.
Nelle lunghe corse ciclistiche, porto sempre con me un campioncino omaggio
di queste creme. Forse sarà una questione psicologica, spesso però
quando compare il sintomo di un crampo e mancano ancora ore al traguardo, lo stratagemma funziona.
I
crampi.
I
crampi, per quanto ho capito, sono il sintomo di un’inadeguata
idratazione prima e durante l’attività, una sbagliata condotta di gara,
una competizione sproporzionata all’allenamento fatto o, peggio ancora,
la somma di questi fattori. Escludendo la possibilità di ritirarsi, non
resta che soffrire. Ci sono degli stratagemmi come la crema di prima od il
limone, ma il rimedio migliore, credo sia fare dello stretching, spegnere
il cronometro e ripartire lentamente evitando bruschi sforzi. Appena
possibile, fare due chiacchiere con il vicino
di banco e guardare il panorama censurando i cartelli indicanti i
chilometri mancanti. E’ un po’ come la crisi da fame del ciclista (e
non solo), dimezzando la velocità, mangiando senza abusare e bevendo poco
e spesso, si può arrivare al traguardo, basta volerlo.
L’allenamento
mentale.
L’allenamento
mentale è un fattore molto importante di cui se ne sente parlare poco,
anzi, di solito quando si parla di allenamento, si intende solo quello
fisico. Dicono che esaurite le innovazioni nelle tecniche tradizionali di
allenamento, sarà la nuova materia di studio. Personalmente non l’ho
mai praticato, mi sono solo documentato (Preparazione mentale agli sport
di resistenza) scoprendo delle affinità. Esistendo però la possibilità
di allenare altre parti di noi stessi, si rafforza quel piacevole alone di mistero di cui vi parlavo all’inizio.
Ci sono varie caratteristiche della personalità negli sport di
resistenza:
* la tolleranza alla frustrazione, come nel caso dei crampi o della
crisi; questi sport non sono avari di sorprese, le quali a volte affiorano
quando meno lo aspettiamo. Come al solito sarebbe meglio la prevenzione ma
se capita, cerco di comportarmi come detto prima.
* l’ottimismo: non va confuso con il pensare positivo
all’americana, nel bel mezzo di una crisi, ripetersi che va
tutto bene come dicono loro, è un’illusione. Bisogna essere
realisti, non nascondersi le difficoltà, se mettiamo in bilancio prima di
partire il fatto che per concludere la gara ci sarà da sudare, evitiamo
di trovarci una sorpresa, anzi, esagerando leggermente (dico leggermente)
con gli imprevisti, si potrà scartare
qualche carta.
* l’auto-stima: esaminando con ottimismo la gara, cioè sapendo a
cosa realisticamente si va incontro, valutando anche i propri limiti e
difetti, accresciamo in noi fiducia e serenità.
* la motivazione: dopo aver studiato tutti gli aspetti, gli
imprevisti ed essere disposti a faticare, bisogna anche gestire lo stress
che ne deriva, dandosi degli obiettivi per cercare di raggiungerli.
La
mia interpretazione della gara.
A
proposito della mia condotta di gara sui lunghi percorsi, aggiungerei a
questo punto, il fattore mentale; parto sempre regolare se possibile.
Quando le posizioni si stabilizzano controllo subito l’andatura e mi
regolo di conseguenza. Se necessario mi faccio sfilare senza problemi. A
questo punto innesto il pilota
automatico risparmiando energie mentali per la seconda parte. Dopo il
giro di boa, inizio a spingere sempre di più, per cercare di mantenere
costante il ritmo. Cerco di analizzare le sensazioni di fatica in modo
selettivo, considerando solo quelle pericolose; la fatica in se è già
prevista e, se la crisi esplode, pazienza, rallento confidando in una
ripresa.
La
crisi.
Un
concorrente sulla propria maglietta alla venticinquesima ed. del Passatore
aveva scritto: combattuto spesso,
abbattuto a volte, perduto mai. Nei momenti di sconforto penso sempre
a questa frase. Nello sci mi concentro anche sulla tecnica e dico: meglio
scii, meno fatica fai e prima arrivi (semplice no?). Volendo si può anche
più scientificamente provare ad invertire lo sci destro con il sinistro.
Nel ciclismo penso sia comune pensare solo alla ruota davanti, se il
muscolo è talmente molle da rifiutarsi di spingere, bisogna cercare di
alzarsi sui pedali e tenere il gruppo. A piedi ho provato queste
sensazioni solo verso la fine del Ponte della Libertà. Complice anche il mal
di mare provocato forse da quell’odore di salsedine a stomaco vuoto.
Ricordo la mia ultima maratona nel’95, quando era saltato il mio
programma e barcollavo nel buio. Ad un certo punto mi sono detto: almeno migliora il tuo personale! Sono ripartito dimenticando in
parte la stanchezza raggiungendo questo piccolo obiettivo. Nella corsa in
montagna o MTB, bisogna risparmiare sempre un minimo di lucidità
psicofisica in salita, per non farsi male in discesa.
Almeno una volta nella vita bisogna provare la cotta, quella vera: serve
per maturare.
Il
sovrallenamento.
Il
sovrallenamento per noi amatori, è lo stress legato allo stile di vita,
sommato a quello derivante da un’esagerata attività sportiva. Ho
provato anche questo! Dopo intensi allenamenti (dicevano che serviva per
caricare), partecipai alla mia prima Marcialonga. Lo sforzo non fu enorme
ma, per farmi vedere ancora in forma, continuai con la stessa pressione
nei giorni seguenti. Scoppiai, restando sgonfio per un mese! La
conseguenza fu che questo botto,
sommato al sovrallenamento prima della Marcialonga, significarono una
stagione senza storia.
Il
diario.
Nel mio diario, in sintesi, annoto: tempi, percorsi, materiali,
sensazioni, di tutto. E’ fondamentale compilarlo, serve per vedere la
preparazione degli anni precedenti cercando di migliorarla, per avere
delle basi per calcolare i tempi in una nuova gara, per… vedere gli
sbagli che facevo una volta, e, non ultimo, migliorando ogni anno il mio
personale nella salita al Pian de le Femene con gli skiroll, ho
l’illusione di sentirmi… sempre giovane!
Un’altra
attività.
Pratico
anche l’alpinismo, alpinismo classico, antico, non molto tecnico, ma in
luoghi isolati e scomodi da raggiungere. Una volta era la mia attività
quasi primaria; ora l’utilizzo nei cambi di stagione (agosto e novembre)
per rilassare la mente ed allo stesso tempo per temprare lo spirito.
In questi luoghi non c’è la possibilità di ritirarsi (a meno che non
si chiami l’elicottero), si sale tra difficoltà già studiate a
tavolino, quindi teoricamente alla portata, e, giunti in cima, bisogna
scendere. Il ritorno, teoricamente difficile come la salita, è sempre più
impegnativo. Alle volte cambiano bruscamente le condizioni atmosferiche,
subentra la stanchezza, il buio, la disidratazione o uno sbaglio di
itinerario. Tutti fattori che, specialmente a parecchi gradi sotto zero,
mettono alla prova il nostro temperamento. Inoltre bisogna sempre
considerare che in questa attività, non vale la regola che cadendo si
impara!
C’è anche il compagno, al quale dare oppure chiedere conforto,
dividendo assieme gioie e fatiche: ci si lega a lui per la vita! (in tutti
i sensi). Tutti problemini se confrontati con le grandi imprese
alpinistiche. Macigni se riferiti ad altri disagi nello sport.
Perché
praticare l’alpinismo.
Perché
allora cimentarsi in queste difficoltà? G. Mallory, forse il primo uomo
ad aver scalato l’Everest, disse a riguardo: chi si pone questa domanda, non è in grado di capire la risposta.
C’è sicuramente il rischio di prendersi un sasso in testa restando
fermi, quindi anche senza spingersi su difficoltà estreme, ma, ponderando
il fine che mi spinge ai monti, potendo scegliere, preferisco evitare
certe brutte discese in MTB con la pressione della gara, discese nelle
quali sei consapevole che stai perdendo il faticoso vantaggio acquisito in
salita.
La montagna, vissuta in senso alpinistico, cambia anche il modo di vedere
lo sport. Gli hobby si intrecciano. Sono convinto ad esempio, che molte
persone scierebbero con soddisfazione (paesaggistica) anche sulla Mutera
di Colfrancui. Se non si tratta di un puro allenamento fisico, preferisco
un’attività ambientata,
magari che abbia un senso logico, paesaggistico o storico-sportivo. Questo
possibilmente anche in gara. Mi ricordo quando partecipai alla GF
Campagnolo. Dovevo sopportare uno sforzo maggiore di un tappone dolomitico
al Giro d’Italia. Il percorso prevedeva il periplo dei monti Lagorai,
stavo salendo il passo Manghen, quasi due ore per le mie gambe, molti
concorrenti erano a testa bassa, per spianare
la strada, mentre io guardavo in alto verso quelle cime da me mai
viste. Scesi a Cavalese ed imboccato in seguito il passo Rolle, vidi da
lontano (molto lontano), le Pale di S.Martino, cime che in parte avevo già
salito, e, mentre cercavo di indovinarne il nome, mi sentivo ormai verso
casa. Mancava ancora il passo Croce d’Aune (un nome, un programma) ma
l’ambiente faceva da anestetico. Fu proprio un bel giro!
Il
sonno.
Il
sonno fa parte di noi, della nostra vita, quindi incide anche nello sport.
Quando mi preparo per un appuntamento per me importante, oppure quando mi
devo alzare nel pieno della notte per effettuare in sicurezza una lunga
escursione tra i monti, dormo meno ore del solito. Dicono che questo
particolare non sia rilevante ai fini del risultato finale. Comunque sia,
cerco di ovviare al problema, dormendo di più le sere precedenti,
leggendo un bel libro per cercare di addormentarmi con la luce accesa, e,
se ci riesco, non mangio troppo a cena.
L’alimentazione.
La
mia alimentazione: anche qui non cercherò di sostituire chi sa molto più
di me.
La mia colazione è sempre molto abbondante, generalmente: caffelatte
(mezzo litro) con corn-flakes e un panino con marmellata. Nelle occasioni
speciali e prolungate, sostituisco la marmellata con il miele ed aggiungo
una fettina di quello che passa il convento:
ossacol, pancetta o formaggio grana (colazione nordica). Ho sperimentato
che questo cocktail, oltre a prolungare la sensazione di sazietà, serve
anche a stimolare la sete. Nelle gare corte ed importanti mangio sempre
pane e miele, sostituendo il caffelatte con il the. Anche se molti
storceranno il naso sul caffelatte, io sono abituato così: un poco di
caffè cambia il gusto del latte.
Il pranzo e la cena sono ugualmente abbondanti, probabilmente il mio
metabolismo mi consente di mangiare a volontà senza spostare l’ago
della bilancia. Alle volte, guardando le tabelle dei dietologi, non posso
che sorridere solo a pensare come potrei vivere con quelle poche calorie
prescritte. Probabilmente tengono conto solo dell’attività sportiva.
Anche se non guardo la quantità, ho i miei principi: niente fritti, pochi
condimenti, creme, merendine, pochi grassi saturi, mai due proteine
assieme, mai la mela alla fine del pasto, d’inverno il pane
possibilmente tostato. Mangio molta frutta, verdura, carne magra, dolci
fatti in casa (con poco burro), d’inverno frutta secca e, 1-2 volte la
settimana, crema di mais
(polenta, l’arma segreta) dell’amico Giorgio. Bevo molta acqua,
soprattutto il sabato se la gara è lunga. Bere molto anche in gara, serve
anche a sudare, se d’estate ad un certo punto non si suda più, la crisi
è alle porte.
Il sabato pomeriggio mangio una pastasciutta o un bel panino con Nutella.
Il sabato sera prevalentemente carboidrati.
Ho tentato qualche volta nelle gare lunghe la dieta dissociata, ma la
trovo impegnativa; inoltre dicono che per certi sport come la corsa, la
grande quantità d’acqua che è conseguentemente trattenuta nei muscoli,
dia fastidiose sensazioni. Se mi sembra il caso quindi, pratico solo
l’associata.
Il
peso forma.
Il
peso corporeo ha la sua importanza. Lo controllo spesso, inutilmente: non
varia mai. Probabilmente è dovuto dal fatto che sono sempre attivo e non
riesco ad ingrassare. Esistono delle tabelle per verificare in modo
empirico la quantità di eccesso, basta pizzicarsi nei posti giusti,
misurare con il calibro lo spessore della pelle e confrontare. Spesso,
basta un controllo di comparazione con un amico, meglio se sedentario per
gratificare la fatica.
Per calcolare quanto grasso (in grammi) si consuma durante una corsa a
piedi, c’è la formula di E. Arcelli che dice: km percorsi moltiplicati
il peso corporeo diviso 20.Viceversa, sempre secondo Arcelli, per sapere
quanti minuti si guadagnano in maratona ogni kg di peso perso, si
moltiplica il tempo finale per 0.007. Dobbiamo ponderare bene questa
formula: in una maratona un kg in meno equivale ad almeno un minuto su 42
km, può essere tanto o poco, dipende dai punti di vista. Nel ciclismo,
dove si può limare anche sul mezzo, spesso molti si concentrano forse
troppo sulla bici: in questo caso ogni kg perso equivale ad almeno un…
milione!
Le
abitudini.
E’
importante, come del resto dicono tutti, non stravolgere troppo le
abitudini. Le mie scelte alimentari vanno lette come stile di vita, quindi
in un contesto più generale. Non faccio solo sport e non provo nessuna
privazione ad applicare i miei principi, anzi, pensando alla vecchiaia mi
sento più tranquillo. Anche i ritmi biologici del sonno-veglia sono
importanti per lo stesso motivo, quindi cerco di rispettarli. Evito le
nottate ed allo stesso tempo cerco di non spostare la sveglia la domenica
mattina.
Il
doping.
Faccio
alcune considerazioni sul doping. Per me ne esistono di due categorie:
quello più noto e vietato dalla legge, e quello diciamo innocuo, che
comprende tutti gli integratori comunemente non venduti al supermercato.
Nella seconda categoria racchiudo anche gli elettrostimolatori. Il motivo
è semplice: se uno dei miei obiettivi nello sport è di ricercare il
massimo della mia prestazione, facendo uso di certi integratori dovrei
riuscire a migliorarla. Nel momento in cui però dovessi capire di averla
migliorata grazie a questi, mi renderei conto che, senza il loro continuo
aiuto, tornerei come prima, anzi, credo che gli eventuali cali nelle
performance mi indebolirebbero psicologicamente. Per quanto riguarda
l’uso degli elettrostimolatori, oltre al costo (vale anche per gli
integratori) e alla poca propensione all’utilizzo, non sono convinto
della totale assenza di effetti collaterali.
Personalmente,
nelle gare di endurance, il giorno prima assumo una bustina di magnesio
per prevenire i crampi, in gara utilizzo qualche barretta energetica (di
solito se ne trovano anche nei posti di ristoro) e qualche flacone di
Enervitene. Da qualche anno, da quando ho purtroppo scoperto che
percorrendo distanze molto lunghe si abbassano le difese immunitarie, alla
fine delle gare più impegnative, prendo anche una bustina di aminoacidi.
Riesco a recuperare più velocemente, affrontando con tranquillità la
settimana di lavoro.
Pensiero positivo.
A
volte leggo sui giornali di come la depressione sia sempre più presente
anche tra i giovani. Io non voglio sottovalutare i problemi, ma tento di
sdrammatizzare. Non sempre riesco a capire come si possa arrivare a certi
atteggiamenti, ho talmente tante cose da fare che non mi resta il tempo di
pensarci, anzi, il solo fatto di invecchiare mi spinge ad approfittare
delle opportunità che mi si presentano davanti. Si sente anche parlare di
brutta stagione. Cos’è la brutta stagione? Non conosco brutte stagioni,
sono solo sintomi depressivi. Sarà forse l’autunno? No, in questo
periodo rispolvero gli skiroll, oppure approfitto della brutta
stagione degli altri per dedicarmi all’alpinismo senza tanta
confusione. L’inverno è brutto? Dopo aver macinato nervosamente qualche
salita con i roller, appena sento dalla radio annunciare l’arrivo di: un’ondata di mal tempo, ripongo zaino e ruotine precipitandomi a
paraffinare gli sci. Da ogni situazione dovremmo tentare di ricavarne la
positività.
Considerazioni.
Anche
chi non mi conosce di persona avrà capito che praticare molti sport fa
parte del mio carattere. La pratica di molte attività, così come
imparare molti lavori amplia le conoscenze, mantiene la mente più
elastica, dà più stimoli ed in fondo diverte di più. Sentire il bisogno
di fare sport significa anche staccare con il lavoro, spegnere (o non
accendere) la televisione, uscire all’aperto per sudare al sole
d’estate o ghiacciare d’inverno, come i nostri antenati. Inoltre, con
una dieta sana possiamo preservarci per il futuro. La prestazione assoluta
in se stessa non ha molto significato per noi amatori. Alle volte sorrido
quando vedo un amico arrivare con un forte ritardo, purtroppo c’è anche
chi sorride quando arrivo io! Contenti
noi, contenti tutti.
Conclusioni.
Anni fa, spronato da alcuni amici che frequentavano una piscina, acquistai
una cuffia. Tornato a casa guardai attentamente quel copricapo pensando
agli effetti collaterali che
avrebbe implicato la nuova attività. Temendo però di esagerare
avviandomi ad un’ulteriore disciplina, decisi di riporre la cuffia nello
scaffale. La scorsa estate vidi nuotare Valentina, mia figlia. Io non
sapevo nuotare, al massimo sapevo galleggiare. Il mio occhio profano aveva
però intravisto in lei una discreta tecnica. Scattò l’allarme, da buon
papà non potevo lasciarmi superare subito e, all’occorrenza non essere
in grado di dare un consiglio. Complice anche la scusa della
riabilitazione al piede, mi iscrissi ad un corso di nuoto. Così si sono
aperti nuovi scenari, nuovi progetti, probabilmente alcuni resteranno un
miraggio, ma è importante anche sognare.
Comunque sia, in questa fase della mia vita, vorrei avviare i miei bambini
allo sport, cercando di non stare troppo in tribuna a guardare e,
ripensando ancora una volta ai nostri antenati, gradirei facessero della
fatica fisica per sopperire alle comodità del nostro tempo. Infine ma non
ultimo, vorrei cercare di sottrarli al nemico: la televisione.
A proposito di nemici, rubando loro uno slogan vi saluto con:
Lo sport, di tutto, di più.
PS
gradirei avere qualche vostra impressione, spedite pure a zanetf64@libero.it
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