HOME Colfranculana Podismo Sci di fondo Skiroll Racconti Programma 2007 Sci fondo provincia di TV

T  R  O  F  E  O    K   I   M   A

LA GRANDE CORSA SUL SENTIERO ROMA

Tarda primavera 2001, sono seduto in riva al mare, è una giornata torrida, il vento da nord di ieri ha spazzato tutte le nuvole lasciando spazio ad un sole pungente, di conseguenza le mie spalle stanno arrossendo a vista d’occhio. C’è molto movimento, strilli di bambini e spruzzi anche da parte dei grandi si sollevano in tutte le direzioni. E’ una giornata positiva, l’unica nota stonata è lo stivaletto personalizzato di colore bianco sul mio piede destro. Sto vivendo, purtroppo, un’altra sosta forzata, approfitto per rileggere alcune mie avventure consumate, in funzione delle prossime future da programmare. Da tempo ero stato invitato dall’amico Leo a scrivere qualcosa riguardante il Trofeo Kima ma non ne avevo mai trovato il tempo, ora invece, avendone da sprecare, ne approfitto. C’è già della sabbia sotto i miei piedi e cercherò di ostruire con questo racconto, almeno temporaneamente, la clessidra della mia vita. Nel 1995 avevo ricevuto casualmente un opuscolo illustrativo della corsa sul Sentiero Roma, si trattava della prima edizione, come sottotitolo era indicato: La grande corsa sul sentiero Roma. Un’impostazione “turistica” del contenuto, con delle rilassanti foto d’alpeggi in montagna e sgargianti fiori in primo piano, lasciavano poco spazio alla descrizione tecnica del tracciato. Sfogliandolo distrattamente lo avevo archiviato subito come poco motivante e troppo lontano da casa. Nella stagione estiva '96, cercando di dribblare in qualche modo la nascita di Luca, il mio secondo figlio, prevista per fine Luglio, mi ero proposto come obiettivo massimo la 6 Rifugi, classica corsa in montagna ai primi d’Agosto. Volevo concludere la gara in meno di 3 ore, mi ero preparato al meglio ed avevo redatto per l’occasione anche una tabella di marcia che però dava come esito 181 minuti. Ho corso tutta la gara con quell’incubo, cercando di imbrogliare il pronostico. Verso la fine, cosciente di essere al limite, mi sarei accontentato anche di 3h00’59’’ per sentirmi gratificato, purtroppo quando fermai il cronometro il display segnava: 3h01’04’’! Qualche minuto dopo arrivò l’amico da Trieste che giusto un anno prima mi aveva fornito il depliant del Kima, affermò che n’aveva ricevuto uno più aggiornato per la seconda edizione che si sarebbe svolta alla fine del mese, invitandomi a partecipare con lui per rifarmi del minuto perso. Quando iniziai a leggere il manifestino mi sembrò di avere tra le mani un bollettino di guerra. Le mucche con la rigogliosa flora del luogo avevano lasciato posto a migliaia di metri di dislivello (precisamente 3.65) distribuiti su un terreno molto accidentato lungo 48 km, con l’attenuante, se così si può dire, di essere quasi tutti al fresco dei 2500-3000 metri di quota. Ne rimasi subito affascinato, anche se avrei dovuto affrontare una prova faticosa, ormai la pulce era nell’orecchio. Diedi uno sguardo al tempo del vincitore, si trattava di uno tra i migliori skyrunners nonché plurimedagliato scialpinista. Aggiunsi alle sue 6h35’ un 50% di tolleranza, lo giudicai accettabile e compilai subito il modulo d’iscrizione. La vigilia della manifestazione, il 24 Agosto, sono partito di buonora da casa, arrivato in Valtellina ho girato a sinistra imboccando la Val Masino. Arrivato in zona, sono riuscito finalmente a trovare una cartina dei sentieri del luogo e, dopo aver salutato gli accompagnatori Ignazio e Maria (meglio Meri), miei genitori diretti al Rif. Omio per vedermi transitare all’indomani, ho iniziato a studiare il percorso. Forte del pronostico purtroppo veritiero di venti giorni prima alla 6 Rifugi, volevo capire se sarei riuscito a superare in tempo utile i vari cancelletti orari ed eventualmente, calcolare i tempi parziali sui numerosi valichi in funzione delle 10 ore previste. Anche se nella carta erano segnate numerose zone attrezzate e qualche nevaio il tempo massimo non mi preoccupava. Tra uno spuntino, uno sguardo alle cime sovrastanti cercando di individuare il tracciato e numerosi calcoli erano trascorse quasi tre ore. C’era ancora un punto interrogativo: il primo controllo orario, posto a 2000 metri di dislivello e dopo 16 km dalla partenza, mi costringeva a passare entro le 2h30’ dal via. Avrei dovuto mantenere un’andatura su quel tratto pari a 2h12’ in Transcivetta per poi continuare per molto tempo ancora. Il secondo rilevamento invece, posto a metà percorso, con le sue 5h30’ consentiva in proporzione un ritmo più blando. I climbers che dal mattino si alternavano sul vicino Sasso Remenno, masso erratico famoso in tutto il mondo, stavano ormai riponendo le corde d’arrampicata. Era ormai pomeriggio inoltrato e il cielo andava ricoprendosi di nuvole molto scure che preannunciavano un’imminente temporale. Così, mentre mi dirigevo verso l’albergo, stavo pensando di proporre agli organizzatori di lasciarmi transitare alla prima deadline in ritardo, assicurandoli che avrei sicuramente recuperato senza problemi nella seconda verifica di metà gara. La mia residenza era in pratica il quartier generale delle operazioni, vi erano alloggiati i migliori atleti, nella tripla dove avrei dormito c’era il detentore del record Courmayeur-M.Bianco e ritorno oltre ad un forte alpinista che qualche mese dopo avrebbe tentato di concatenare Lhotse ed Everest. Nella hall, al posto dei soliti divani, c’era un medico intento a fare prelievi del sangue, non si trattava però di anti-doping, chi voleva poteva fare da cavia permettendo anche un controllo supplementare di comparazione a fine gara. Inoltre, il frenetico andirivieni di atleti vestiti con magliette testimonianti gare da mezza Europa, mi aveva consigliato di attendere un attimo prima di confidare agli organizzatori la mia proposta riguardante i vari posti di blocco. In breve giunse l’ora di cena, fuori infuriava il temporale, dentro l’aria era altrettanto elettrizzata dai discorsi degli runners, tutti seduti allo stesso tavolo. C’era chi annunciava l’imminente partenza per il giro del mondo in bici, altri definivano gli ultimi dettagli prima della spedizione himalayana. Un elicotterista del soccorso alpino punzecchiava l’amico a lui vicino ricordandogli di quando lo aveva salvato sul Pilone Centrale del Freney, e questi, cercò di distogliere l’attenzione raccontando di un collega che nel tentativo di migliorare la corsa in discesa, si era allenato intensamente su questa specialità, accorgendosi alla fine di… aver rovinato le ginocchia! Naturalmente io non avevo argomenti per intervenire, mi limitavo ad ascoltare pensando anche al diluvio che imperversava fuori. Ad un tratto un ragazzo vedendomi così taciturno e vestito in borghese iniziò a farmi alcune domande sulla linea: ”Dove abiti? Ci sono montagne li vicino?, Sei mai stato in montagna?, Pensi di farcela?, In quanto tempo? “.”Dieci ore “ risposi. “Dieci ore? E' un buona prestazione!” mi disse. Rettificai subito con un “almeno lo spero”. Era definitivamente tramontata l’idea di chiedere agli addetti di chiudere un occhio nel primo rilevamento, in quella situazione avrei rischiato una sicura espulsione.   Dopocena, sotto il tendone dell’arrivo, presi parte al briefing. L’acqua piovana ormai formava freschi ruscelli sotto i nostri piedi. L’oratore, infierendo con naturalezza sul percorso di guerra del giorno seguente, ad un certo punto disse: “ In caso di condizioni estreme… la gara sarà accorciata a soli 2000 metri di dislivello”. Mi chiesi: “ Condizioni estreme? Per chi?, Per le guide alpine?”. La faccenda si metteva sempre peggio, inoltre per concludere la serata in bellezza, avevano proiettato il filmato dell’arrivo del ’95 dove si vedevano alcuni concorrenti transitare quasi a quattro zampe! Dentro di me si era accesa una piccola sfida nella sfida, mi sentivo abbastanza bene, il lungo viaggio in auto pretendeva almeno di provare a partire, inoltre ero stato dotato di un fischietto che in caso d’emergenza mi avrebbe permesso… di chiamare i soccorsi! Tecnicamente quindi non c’erano problemi, in caso di necessità, disperso tra i monti, bastava alzare la mano e sarebbe arrivata l’ammiraglia. La notte passa velocemente, il mattino ancora con il buio, come prima operazione guardo dalla finestra, si vedono le stelle ed anche il mio morale comincia a prendere quella strada. Facciamo una colazione tranquilla ancora tutti assieme, poi andiamo alla partenza dove ci ritroviamo in un’ottantina di temerari (evidentemente non sono l’unico matto). Alle 6.30, complice anche la lunga distanza partiamo senza stress. La dotazione obbligatoria prevede: cappellino, guanti, antivento ed il tecnologico fischietto, qualche esuberante, forse reduce dalla Maratona delle Sabbie, porta in groppa anche uno zaino da cammello. Cerco subito di individuare qualche compagno della mia portata ma all’inizio, e in salita, è difficile da capire. Punto allora sulla donna che si trova in terza posizione, ha già partecipato l’anno scorso ed è di un certo livello atletico (ho studiato tutto), pensando che dovrebbe impostare un’andatura costante. Dopo circa mezz’ora, trovandomi anche alla fine di un gruppetto di atleti, mi punge un calabrone al polpaccio destro che mi provoca subito un senso di crampi. Resisto. Poco dopo attraversiamo una lunga risaia in quota frutto del temporale di ieri, non oso neanche a pensare cosa potranno provocare i calzini fradici su un percorso così lungo e proseguo. Non c’è molto tempo per distrarsi, tra il controllo dell’andatura altrui, il cronometro e l’altimetro in

breve giungo al Rif. Ponti situato a 2559 metri,  primo rifornimento. Verifico cosa c’è rimasto perché al briefing ci avevano spiegato che l’elicottero non poteva portare tutto per tutti, quindi agli ultimi sarebbe rimasto di conseguenza solo l’acqua. Per questa volta è andata bene, da qui mancano 300 metri di dislivello per scollinare alla Bocchetta Roma dove è posto il primo e tormentato controllo. Dovrei farcela, anche se alla partenza il bollettino svizzero dava lo zero termico a 2700 metri e quindi nell’ultimo tratto troverò del vetrato.   Finalmente raggiungo il passo in tempo, sono trascorse 2h21’, la ragazza che doveva consigliarmi il ritmo è poco più avanti e conto di raggiungerla in discesa, non sono l’ultimo, la gara è ancora lunga quindi si può

sempre migliorare. Sono molto sudato anche se i mattutini spettatori hanno un abbigliamento invernale, infatti, passando nel versante opposto, dalla parte nord, devo affrontare il primo nevaio. C’è una lunga corda tesa per l’occasione, n’approfitto facendo qualche ruzzolone fuori programma. Un avversario invece, senza utilizzare l’assicurazione mi sorpassa facendomi capire che non sarà facile recuperare. Da qui la situazione si normalizza, c’è una lunga serie di forcelle da oltrepassare senza perdere molto dislivello, anche le posizioni si stabilizzano. Non ci si può però addormentare, bisogna fare molta attenzione alle lastre di granito con ghiaino sopra e, dove non ci sono queste, sembra di correre sugli scogli del mare. Dopo due ore dalla bocchetta, quando la Cima Coppi è ormai alle spalle, noto sul Passo Averta un cartello con scritto: 24 km all’arrivo. Ormai avevo perso la dimensione del tempo. Per chi fa il Passatore, 24 km non sono più molti, ma per me, che ne dovevo fare solo 48? Guardo lo schemino altimetrico che mi sono costruito copiando l’idea dal Giro d’Italia, in sostanza manca ancora qualche passo e una lunga discesa fino a Filorera.

Nei pressi del Rif. Giannetti incontro i miei genitori, uno pretende di mettere a fuoco la fotocamera correndo all’indietro, mentre l’altra m’informa che il tracciato che troverò è brutto. Ringrazio, dopotutto loro non conoscono la strada che ho finora percorso, quindi, non potevano dirmi che era brutta anche la precedente! Li invito a scendere al più presto perché anche se il mio itinerario è ancora molto lungo, loro con zaino e scarponi anche tagliando, c’impiegheranno il doppio. Sulle ultime forcelle trovo molti appassionati, alcuni muniti di binocolo riescono a leggere il mio numero di pettorale da lontano, incitandomi a gran voce ancora prima che riesca a vederli. La ragazza di riferimento, ora divenuta seconda, si è lanciata all’inseguimento della prima scomparendo all’orizzonte. Reagisco, come il solito nella parte centrale tendo a perdere concentrazione. Raggiungo l’amico triestino, mi congedo subito con un arrivederci, infatti, essendo lui un buon discesista, forse mi riprenderà più avanti. Ora mi trovo sull’ultimo passo, il Barbacan, sono le 13.40 e mi sento discretamente bene. Mancano ancora 1600 metri in discesa su misto (erba, fango, muschio e licheni su roccia liscia), cerco di fare molta attenzione per non rovinare tutto perché i riflessi sono leggermente annebbiati. Transito all’ultimo rifugio, l’Omio, dove avevano pernottato i miei, ora si va verso la civiltà! Raggiungo e supero la mia apripista ancora in seconda posizione, penso che forse la sua rivale non sarà molto lontana e tento il colpaccio. A Bagni di Masino, tra i turisti, mi concedo anche un piccolo allungo sul percorso che mi costerà qualche minuto (e il colpaccio). Ormai la discesa è finita, rimangono ancora quattro insidiosi km di piano, in parte su asfalto, sotto il Sol Leone, supero ancora un amico-avversario, l’ultimo, in lontananza si sente ormai la voce non ancora roca dello speaker, mi sembra quasi di volare. Ad un riferimento controllo la velocità, sto viaggiando nell’ultimo tratto a 4’16’’ al km, incredibile per le mie possibilità. Mi sistemo un po’ per essere impressionato decorosamente sulla pellicola (scoprirò qualche mese dopo che avevano filmato tutti a parte me)   Negli ultimi metri sono applaudito da almeno un centinaio di persone, non credo siano venute tutte per me visto che i primi staranno già dormendo sonni tranquilli durante l’attesa delle premiazioni, ma, visto che ci sono, saluto. Mi classificano 27°, ho appena il tempo di fermare il cronometro che due addetti mi sorreggono per le spalle accompagnandomi alla sedia del ristoro. Ringrazio ma non ne vedo la necessità, la sedia poi mi sembra proprio esagerata. Mi rendo conto subito dopo, che senza quell’ausilio, forse non mi sarei retto in piedi. Ripresomi quasi subito, ho notato davanti a me il medico della sera prima che con aria molto gentile mi suggeriva un altro provino. Questa volta la sedia l’ho accettata volentieri e mentre lasciavo riempire la provetta, senza guardare, con il mio di fluido vitale, ho iniziato ad assaporare l’avventura.  La soddisfazione di aver impiegato un’ora e mezza meno del previsto arrivando a 4’ dalla prima donna, mi aveva tolto buona parte della fatica. Dopo la doccia, come ciliegina sulla torta, ho visto arrivare gli amici che mi avevano chiesto se non ero mai stato in montagna. Battute a parte, la corsa sul Sentiero Roma è stata una gara dalle forti emozioni, molto ben organizzata con gran dispendio d’uomini e mezzi. Da provare insomma, anche perché detenendo io la miglior prestazione del Nord-Est non dovrebbe esser difficile migliorare.

             

                 Buona partecipazione,

                                                                                                                      Flavio.

 

 La classifica

runner classifi.jpg (473410 byte)