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LA
GRANDE CORSA SUL SENTIERO ROMA
Tarda
primavera 2001, sono seduto in riva al mare, è una giornata
torrida, il vento da nord di ieri ha spazzato tutte le nuvole
lasciando spazio ad un sole pungente, di conseguenza le mie spalle
stanno arrossendo a vista d’occhio.
C’è molto movimento, strilli di bambini e spruzzi anche da parte
dei grandi si sollevano in tutte le direzioni. E’ una giornata
positiva, l’unica nota stonata è lo stivaletto
personalizzato di colore bianco sul mio piede destro. Sto
vivendo, purtroppo, un’altra sosta forzata, approfitto per rileggere alcune mie avventure consumate, in funzione delle prossime
future da programmare.
Da tempo ero stato
invitato dall’amico Leo a scrivere qualcosa riguardante il Trofeo
Kima ma non ne avevo mai trovato il tempo, ora invece, avendone da
sprecare, ne approfitto. C’è già della sabbia sotto i miei piedi
e cercherò di ostruire con questo racconto, almeno temporaneamente,
la clessidra della mia vita.
Nel 1995 avevo
ricevuto casualmente un opuscolo illustrativo della corsa sul
Sentiero Roma, si trattava della prima edizione, come sottotitolo
era indicato: La grande corsa sul sentiero Roma. Un’impostazione
“turistica” del contenuto, con delle rilassanti foto d’alpeggi
in montagna e sgargianti fiori in primo piano, lasciavano poco
spazio alla descrizione tecnica del tracciato. Sfogliandolo
distrattamente lo avevo archiviato subito come poco motivante e
troppo lontano da casa.
Nella stagione
estiva '96, cercando di dribblare in qualche modo la nascita di
Luca, il mio secondo figlio, prevista per fine Luglio, mi ero
proposto come obiettivo massimo la 6 Rifugi, classica corsa in
montagna ai primi d’Agosto.
Volevo concludere la gara in meno di 3 ore, mi ero preparato
al meglio ed avevo redatto per l’occasione anche una tabella di
marcia che però dava come esito 181 minuti. Ho corso tutta la gara
con quell’incubo, cercando di imbrogliare il pronostico. Verso la
fine, cosciente di essere al limite, mi sarei accontentato anche di
3h00’59’’ per sentirmi gratificato, purtroppo quando fermai il
cronometro il display segnava: 3h01’04’’! Qualche
minuto dopo arrivò l’amico da Trieste che giusto un anno prima mi
aveva fornito il depliant del Kima, affermò che n’aveva ricevuto
uno più aggiornato per la
seconda edizione che si sarebbe svolta alla fine del mese,
invitandomi a partecipare con lui per rifarmi del minuto perso.
Quando iniziai a
leggere il manifestino mi sembrò di avere tra le mani un bollettino
di guerra. Le mucche con la rigogliosa flora del luogo avevano
lasciato posto a migliaia di metri di dislivello (precisamente 3.65)
distribuiti su un terreno molto accidentato lungo 48 km, con
l’attenuante, se così si può dire, di essere quasi tutti al
fresco dei 2500-3000 metri di quota. Ne rimasi subito affascinato,
anche se avrei dovuto affrontare una prova faticosa, ormai la pulce
era nell’orecchio. Diedi uno sguardo al tempo del vincitore, si
trattava di uno tra i migliori skyrunners nonché plurimedagliato
scialpinista. Aggiunsi alle sue 6h35’ un 50% di tolleranza, lo
giudicai accettabile e compilai subito il modulo d’iscrizione.
La vigilia della
manifestazione, il 24 Agosto, sono partito di buonora da casa,
arrivato in Valtellina ho girato a sinistra imboccando la Val
Masino. Arrivato in zona, sono riuscito finalmente a trovare una
cartina dei sentieri del luogo e, dopo aver salutato gli
accompagnatori Ignazio e Maria (meglio Meri), miei genitori diretti
al Rif. Omio per vedermi transitare all’indomani, ho iniziato a
studiare il percorso. Forte del pronostico purtroppo veritiero di
venti giorni prima alla 6 Rifugi, volevo capire se sarei riuscito a
superare in tempo utile i vari cancelletti orari ed eventualmente, calcolare i tempi parziali sui
numerosi valichi in funzione delle 10 ore previste. Anche se nella
carta erano segnate numerose zone attrezzate e qualche nevaio il
tempo massimo non mi preoccupava.
Tra uno spuntino,
uno sguardo alle cime sovrastanti cercando di individuare il
tracciato e numerosi calcoli erano trascorse quasi tre ore. C’era
ancora un punto interrogativo: il primo controllo orario, posto a
2000 metri di dislivello e dopo 16 km dalla partenza, mi costringeva
a passare entro le 2h30’ dal via. Avrei dovuto mantenere
un’andatura su quel tratto pari a 2h12’ in Transcivetta per poi
continuare per molto tempo ancora. Il secondo rilevamento invece,
posto a metà percorso, con le sue 5h30’ consentiva in proporzione
un ritmo più blando.
I climbers che dal
mattino si alternavano sul vicino Sasso Remenno, masso erratico
famoso in tutto il mondo, stavano ormai riponendo le corde
d’arrampicata. Era ormai pomeriggio inoltrato e il cielo andava
ricoprendosi di nuvole molto scure che preannunciavano
un’imminente temporale. Così, mentre mi dirigevo verso
l’albergo, stavo pensando di proporre agli organizzatori di
lasciarmi transitare alla prima deadline in ritardo, assicurandoli che avrei sicuramente recuperato
senza problemi nella seconda verifica di metà gara.
La mia residenza
era in pratica il quartier
generale delle operazioni, vi erano alloggiati i migliori
atleti, nella tripla dove avrei dormito c’era il detentore del
record Courmayeur-M.Bianco e ritorno oltre ad un forte alpinista che
qualche mese dopo avrebbe tentato di concatenare Lhotse ed Everest.
Nella hall, al posto dei soliti divani, c’era un medico intento a
fare prelievi del sangue, non si trattava però di anti-doping, chi
voleva poteva fare da cavia permettendo anche un controllo
supplementare di comparazione a fine gara. Inoltre, il frenetico
andirivieni di atleti vestiti con magliette testimonianti gare da
mezza Europa, mi aveva consigliato di attendere un attimo prima di
confidare agli organizzatori la mia proposta riguardante i vari
posti di blocco.
In breve giunse
l’ora di cena, fuori infuriava il temporale, dentro l’aria era
altrettanto elettrizzata dai discorsi degli runners, tutti seduti
allo stesso tavolo. C’era chi annunciava l’imminente partenza
per il giro del mondo in bici, altri definivano gli ultimi dettagli
prima della spedizione himalayana. Un elicotterista del soccorso
alpino punzecchiava l’amico a lui vicino ricordandogli di quando
lo aveva salvato sul Pilone Centrale del Freney, e questi, cercò di
distogliere l’attenzione raccontando di un collega che nel
tentativo di migliorare la corsa in discesa, si era allenato
intensamente su questa specialità, accorgendosi alla fine di…
aver rovinato le ginocchia!
Naturalmente io non
avevo argomenti per intervenire, mi limitavo ad ascoltare pensando
anche al diluvio che imperversava fuori. Ad un tratto un ragazzo
vedendomi così taciturno e vestito in
borghese iniziò a farmi alcune domande sulla linea: ”Dove
abiti? Ci sono montagne li vicino?, Sei mai stato in montagna?,
Pensi di farcela?, In quanto tempo? “.”Dieci ore “ risposi.
“Dieci ore? E' un buona prestazione!” mi disse. Rettificai
subito con un “almeno lo spero”. Era definitivamente tramontata
l’idea di chiedere agli addetti di chiudere
un occhio nel primo rilevamento, in quella situazione avrei
rischiato una sicura espulsione.
Dopocena,
sotto il tendone dell’arrivo, presi parte al briefing. L’acqua
piovana ormai formava freschi ruscelli sotto i nostri piedi.
L’oratore, infierendo con naturalezza sul percorso
di guerra del giorno seguente, ad un certo punto disse: “ In
caso di condizioni estreme… la gara sarà accorciata a soli 2000
metri di dislivello”. Mi chiesi: “ Condizioni estreme? Per chi?,
Per le guide alpine?”.
La faccenda si
metteva sempre peggio, inoltre per concludere la serata in bellezza,
avevano proiettato il filmato dell’arrivo del ’95 dove si
vedevano alcuni concorrenti transitare quasi a quattro
zampe!
Dentro di me si era
accesa una piccola sfida nella sfida, mi sentivo abbastanza bene, il
lungo viaggio in auto pretendeva almeno di provare a partire,
inoltre ero stato dotato di un fischietto che in caso d’emergenza
mi avrebbe permesso… di chiamare i soccorsi! Tecnicamente quindi
non c’erano problemi, in caso di necessità, disperso tra i monti,
bastava alzare la mano e
sarebbe arrivata l’ammiraglia.
La notte passa
velocemente, il mattino ancora con il buio, come prima operazione guardo dalla
finestra, si vedono le stelle ed anche il mio morale comincia a
prendere quella strada. Facciamo una colazione tranquilla ancora
tutti assieme, poi andiamo alla partenza dove ci ritroviamo in
un’ottantina di temerari (evidentemente non sono l’unico matto).
Alle 6.30, complice
anche la lunga distanza partiamo senza stress. La dotazione
obbligatoria prevede: cappellino, guanti, antivento ed il tecnologico fischietto, qualche esuberante, forse reduce dalla
Maratona delle Sabbie, porta in groppa anche uno zaino da cammello. Cerco subito di individuare qualche compagno della mia
portata ma all’inizio, e in salita, è difficile da capire. Punto
allora sulla donna che si trova in terza posizione, ha già
partecipato l’anno scorso ed è di un certo livello atletico (ho
studiato tutto), pensando che dovrebbe impostare un’andatura
costante.
Dopo circa
mezz’ora, trovandomi anche alla fine di un gruppetto di atleti, mi
punge un calabrone al polpaccio destro che mi provoca subito un
senso di crampi. Resisto. Poco dopo attraversiamo una lunga risaia
in quota frutto del temporale di ieri, non oso neanche a pensare
cosa potranno provocare i calzini fradici su un percorso così lungo
e proseguo.
Non c’è molto
tempo per distrarsi, tra il controllo dell’andatura altrui, il
cronometro e l’altimetro in
breve giungo al Rif. Ponti situato a
2559 metri,
primo
rifornimento. Verifico cosa c’è rimasto perché al briefing ci
avevano spiegato che l’elicottero non poteva portare tutto per
tutti, quindi agli ultimi sarebbe rimasto di conseguenza solo l’acqua.
Per questa volta è andata bene, da qui mancano 300 metri di
dislivello per scollinare
alla Bocchetta Roma dove è posto il primo e tormentato controllo.
Dovrei farcela, anche se alla partenza il bollettino svizzero dava
lo zero termico a 2700 metri e quindi nell’ultimo tratto troverò
del vetrato.
Finalmente raggiungo il passo in tempo, sono trascorse 2h21’, la
ragazza che doveva consigliarmi il ritmo è poco più avanti e conto
di raggiungerla in discesa, non sono l’ultimo, la gara è ancora
lunga quindi si può
sempre migliorare. Sono molto sudato anche se i
mattutini spettatori hanno un abbigliamento invernale, infatti,
passando nel versante opposto, dalla parte nord, devo affrontare il
primo nevaio. C’è una lunga corda tesa per l’occasione,
n’approfitto facendo qualche ruzzolone fuori programma. Un
avversario invece, senza utilizzare l’assicurazione mi sorpassa
facendomi capire che non sarà facile recuperare.
Da qui la
situazione si normalizza, c’è una lunga serie di forcelle da
oltrepassare senza perdere molto dislivello, anche le posizioni si
stabilizzano. Non ci si può però addormentare,
bisogna fare molta attenzione alle lastre di granito con ghiaino
sopra e, dove non ci sono queste, sembra di correre sugli scogli del
mare.
Dopo due ore dalla
bocchetta, quando la Cima
Coppi è ormai alle spalle, noto sul Passo Averta un cartello
con scritto: 24 km all’arrivo. Ormai avevo perso la dimensione del
tempo. Per chi fa il Passatore,
24 km non sono più molti, ma per me, che ne dovevo fare solo
48? Guardo lo schemino altimetrico che mi sono costruito copiando
l’idea dal Giro d’Italia, in
sostanza manca ancora qualche passo e una lunga discesa fino a
Filorera.
Nei pressi del Rif.
Giannetti incontro i miei genitori, uno pretende di mettere a fuoco
la fotocamera correndo all’indietro, mentre l’altra m’informa
che il tracciato che troverò è brutto.
Ringrazio, dopotutto loro non conoscono la strada che ho finora
percorso, quindi, non potevano dirmi che era brutta
anche la precedente! Li invito a scendere al più presto perché
anche se il mio itinerario è ancora molto lungo, loro con zaino e
scarponi anche tagliando, c’impiegheranno il doppio.
Sulle ultime
forcelle trovo molti appassionati, alcuni muniti di binocolo
riescono a leggere il mio numero di pettorale da lontano,
incitandomi a gran voce ancora prima che riesca a vederli. La
ragazza di riferimento, ora divenuta seconda, si è lanciata
all’inseguimento della prima scomparendo all’orizzonte.
Reagisco, come il solito nella parte centrale tendo a perdere
concentrazione. Raggiungo l’amico triestino, mi congedo subito con
un arrivederci, infatti, essendo lui un buon discesista,
forse mi riprenderà più avanti.
Ora mi trovo
sull’ultimo passo, il Barbacan, sono le 13.40 e mi sento
discretamente bene. Mancano ancora 1600 metri in discesa su misto
(erba, fango, muschio e licheni su roccia liscia), cerco di fare
molta attenzione per non rovinare tutto perché i riflessi sono
leggermente annebbiati. Transito all’ultimo rifugio, l’Omio,
dove avevano pernottato i miei, ora si va verso la civiltà!
Raggiungo e supero la mia apripista ancora in seconda posizione,
penso che forse la sua rivale non sarà molto lontana e tento il colpaccio.
A Bagni di Masino, tra i turisti, mi concedo anche un piccolo
allungo sul percorso che mi costerà qualche minuto (e il colpaccio).
Ormai la
discesa è finita, rimangono ancora quattro insidiosi km di piano,
in parte su asfalto, sotto il Sol Leone, supero ancora un amico-avversario,
l’ultimo, in lontananza si sente ormai la voce non ancora roca
dello speaker, mi sembra quasi di volare. Ad un riferimento
controllo la velocità, sto viaggiando nell’ultimo tratto a
4’16’’ al km, incredibile per le mie possibilità. Mi sistemo
un po’ per essere impressionato decorosamente
sulla pellicola (scoprirò qualche mese dopo che avevano filmato
tutti a parte me)
Negli ultimi
metri sono applaudito da almeno un centinaio di persone, non credo
siano venute tutte per me visto che i primi staranno già dormendo
sonni tranquilli durante l’attesa delle premiazioni, ma, visto che
ci sono, saluto. Mi classificano 27°, ho appena il tempo di fermare
il cronometro che due addetti mi sorreggono per le spalle
accompagnandomi alla sedia del ristoro. Ringrazio ma non ne vedo la
necessità, la sedia poi mi sembra proprio esagerata. Mi rendo conto
subito dopo, che senza quell’ausilio, forse non mi sarei retto in
piedi. Ripresomi quasi subito, ho notato davanti a me il medico
della sera prima che con aria molto gentile mi suggeriva un altro
provino. Questa volta la sedia l’ho accettata volentieri e mentre
lasciavo riempire la provetta, senza guardare, con il mio di fluido
vitale, ho iniziato ad assaporare l’avventura.
La soddisfazione di
aver impiegato un’ora e mezza meno del previsto arrivando a 4’
dalla prima donna, mi aveva tolto buona parte della fatica. Dopo la
doccia, come ciliegina sulla torta, ho visto arrivare gli amici che
mi avevano chiesto se non ero mai stato in montagna.
Battute a parte, la corsa sul Sentiero Roma è stata una
gara dalle forti emozioni, molto ben organizzata con gran dispendio
d’uomini e mezzi. Da provare insomma, anche perché detenendo io
la miglior prestazione del Nord-Est non dovrebbe esser difficile
migliorare.
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Buona partecipazione,
Flavio.
La classifica
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