Domenica
25 febbraio si è svolta la prima edizione della Campolonga, granfondo con
gli sci alla quale hanno partecipato alcuni membri della nostra società.
La
manifestazione prevedeva un percorso lungo di 100 km denominato “hard
race” (forse per la durezza del manto nevoso) e due “soft race” di
20 e 40 km per atleti più “morbidi”, quindi con migliore elasticità.
Chi
scrive ha scelto il percorso lungo. Da molti anni si parlava di
partecipare alla mitica ma lontana Vasaloppet, la gara che volevo
disputare, se pur in TL ma con qualche km e parecchi metri di dislivello
in più, avrebbe eguagliato la fatica con il vantaggio d'essere
“sottocasa”.
In Italia il termine granfondo nel ciclismo indica il
percorso lungo (o lunghissimo), nel podismo abbiamo le ultramaratone, con
gli sci invece non è molto chiaro, ce ne sono da 15 a 100 km, maratone da
42 a 55 (o forse 60 come nelle prime edizioni). La Campo-longa è
inequivocabile, potrà sembrare una delle sorelle minori della Marcialonga
ma vi assicuro che è stata tutta un’altra competizione.
La
mia preparazione, si è basata in buona parte sull’esperienza acquisita
in bicicletta. Mi ero avvicinato all’appuntamento con Marciabianca e
Dobbiaco-Cortina, a 15 giorni dallo start con circa 800 km percorsi sugli
sci mi serviva un buon test. Non c’era neve in Cansiglio per accumulare
molti km con poco dislivello, andare nell’altopiano mi sembrava troppo
“lussuoso”, cosa restava di meglio di una visita all’esteso pianoro
del passo Cibiana? La giornata si è presentata molto radiosa (che emana
energia), neve ottima, qualche conoscente locale ed i familiari al seguito
mi hanno fatto sentire a casa. Così, agevolato all’inizio dalla
presenza degli atleti della Val Meduna, quel giorno ho percorso 72 km (16
giri x 4.5 arrotondati per difetto) con 2400 m.t. Di dislivello (16 x 150
arr. x difetto) senza grandi fatiche. Ottima verifica psicofisica, negli
anni mi sono reso conto che senza questo tipo di verifiche non si va da
nessuna parte. Bisogna provare la “gamba”, il ritmo di gara,
l’alimentazione prima e durante l’esercizio e soprattutto preparare la
mente, caricarla. Caricare la mente significa credere nella possibilità
di riuscire senza faticare oltremodo, demolire in pratica il pensiero di
dover affrontare un’impresa rendendo il tutto quasi normale e quindi
alla portata.
Nelle
giornate seguenti mi sono “ascoltato”, tutto OK, ho deciso di
iscrivermi ed ho iniziato a diminuire di intensità gli allenamenti.
La
domenica successiva mi sono ripresentato nello stesso luogo, la neve non
più eccezionale e una minor fluidità nei movimenti anni fa mi avrebbero
abbattuto. Oramai vicino agli “anta”, sapevo che non potevo aver già
recuperato lo sforzo, probabilmente quel giorno la Gsiesertaler sarebbe
stata fatale. Mi sono rilassato in tutta tranquillità, ho riletto la
“tesi” scritta la settimana precedente lungo i 55 km percorsi quel
giorno. Supportato dal resto della famiglia mi sentivo proprio tra le
“nevi” domestiche.
Nei
giorni seguenti non ho praticato la dieta dissociata per non rischiare il
completo recupero, solo un po’ d'associata venerdì e sabato. Le
sensazioni erano ottime, non ero mai riuscito a prepararmi così bene, o
almeno, non ero mai riuscito a fare quello che volevo senza sottrarmi
naturalmente dai normali impegni quotidiani. La sera della vigilia, come
camomilla, ho letto un romanzo d’avventura, una lettura di quelle che
nell’era di Internet riescono ancora a farti addormentare con la luce
accesa ed il libro in mano.
Sono
le 4.45 di domenica, suona la sveglia, è giorno di “esame”, come
diceva Eduardo de Filippo gli esami non finiscono mai e per me, che in età scolare
non ne ho fatti molti, spero ce ne siano ancora parecchi. Colazione
nordica, salgo in auto, raggiungo mio papà e partiamo. In prossimità di
Campolongo, luogo di partenza, la strada ghiacciata con neve fresca ci fa
procedere lentamente, il termometro indica –17°C e la paraffina
primaverile che ho applicato non è per queste situazioni. Sopraggiunge un
veloce monovolume, lo lascio passare, è Alfio, evidentemente anche
sull’asfalto la cera F fa la differenza!
Alla
partenza, i primi raggi di sole diradano la gelida nebbia rivelando un
ambiente da Grande Nord. E’ aria di festa, sembra la partenza di una
gara sociale, davanti, a pochi minuti dal via i professori dei VV. FF.,
Winterthur e Hartmann guardano gli allievi intenti a farsi fotografare da
parenti e amici. Non c’è la stressante attesa della Marcialonga dove
sei circondato da occhi minacciosi, la paura di rompere un bastoncino
prima del via, l’obbligo di iniziare alla massima velocità, il pensiero
di togliere o no gli sci alla prima salita, solo lontani ricordi. Qui è
tutto più umano, come al Kima, lasciandoti il tempo di salutare (dopo il
via) chi ha sprecato un clic per te.
Inizia
la gara, ognuno sceglie il proprio trenino, i miei sci dotati della
“fredda” –3-7 tengono bene in salita e di conseguenza non fanno
miracoli sulle discese di bianca carta vetrata. Dopo un’ora la
situazione si stabilizza, dietro c’è il vuoto, mentre davanti non si
vede nessuno. Il nostro convoglio viaggia a velocità costante, cambi
regolari a configurazione ciclistica. Fatico a tenere il ritmo, o meglio,
non voglio ancora faticare. Cambia un Hartmanno, un caimano delle nevi (di
quelli che si mangiano gli avversari) ed io in coda al gruppo lo lascio
volentieri, con rispetto, rientrare davanti. Procede però in modo
irregolare, troppo dispendioso, probabilmente è dotato di un’altra
cilindrata.
Sulla
lunga salita ai tre quarti del primo giro il gruppo si sgrana, se ne vanno
ognuno per proprio conto, io resto indietro, penso: meglio soli …
Sono tranquillo, la gara è lunga. Passo al primo giro intorno al
30° posto, c’è la possibilità di cambiare gli sci e ne approfitto.
Guardo il cronometro, nonostante sia rimasto indietro, procedo molto più
velocemente di quanto prefissato, mi convinco che senza
cardiofrequenzimetro e con la variabilità della neve si fatica sempre a
centrare un pronostico. Con le “gomme” nuove transito nel primo
settore precedentemente cronometrato con un minuto di anticipo, ho già
superato un paio di atleti del vecchio trenino e mi lascio alle spalle
anche concorrenti dei percorsi più brevi. La gara diventa divertente,
completo il secondo giro, altro Pit Stop per gli sci anche se forse non
serve, riparto. Il passaggio dei concorrenti ha oramai tolto la neve su
lunghi tratti in discesa, aiutato forse dalla minor resistenza
all’avanzamento della superficie ghiacciata transito al primo
rilevamento con un altro minuto in meno, sono al 70° km, sarebbe il
traguardo della marcialonga ed ho ancora persone da superare. Poco dopo
scorgo l’Hartmanno, lo raggiungo e supero con … discrezione. Il pilota
automatico da tempo inserito mi permette di distrarmi, guardo il panorama,
sembra la Scandinavia, almeno penso sia così, penso anche al fastidioso
“Tavan” da Orsago oggi non presente, che con le sue punture gonfia
spesso (di molto purtroppo) il mio distacco in classifica, pazienza, apro
la borraccia e sorseggio alcune gocce di Autan!
In
breve giungo a Millegrobbe, ultimo giro di boa della giornata, inizia la
parte più impegnativa, ci sono alcune salite da superare, inoltre il sole
sta sfumando dietro le nuvole spinte da un leggero vento contrario. E’
primo pomeriggio, lo stomaco è quasi vuoto ma la spia della riserva è
ancora spenta, ad un tratto odo le Sirene d’Ulisse, si tratta di un
robusto (taglia XXL) gruppo di amici che dopo aver tracciato anomali
binari sulla pista con i pneumatici delle proprie auto, sta cantando con
gomito alzato e pancia piena in onore della grigliata appena consumata.
Saluto e fingo di ignorare il loro invito, manca ormai poco alla fine,
piccoli fiocchi di neve cercano di nascondere le scure lastre ghiacciate
che sto affrontando, la pista non è più veloce e penso a chi dopo di me
avrà una situazione peggiore. Giungo all’ultimo ristoro, saluto
l’addetto, un alpino stanco ormai di vedermi passare. Mancano ancora 10
km, una lunga ma pedalabile salita, non sono però ancora sazio, ho
sentito da radio corsa che c’è ancora qualcuno da superare, inoltre,
per ravvivare la gara, provo a tenere su questo tratto la stessa andatura
della mattina. Riesco a raggiungere anche la prima navicella del convoglio
al quale appartenevo staccatasi molti km prima. Neppure il tempo di
gustare l’ultimo sorpasso che una voce amica mi riporta alla realtà, mi
dice: ormai e finita. “Pazienza, spero di non averti fatto attendere
molto” rispondo.
Grazie
anche al tipo di neve oggi mi sono proprio divertito.
Tutto
il lavoro di preparazione alla gara serve molto a temprare la mente,
conoscersi a fondo e credere nelle proprie capacità. Lo spremere
intensamente il proprio corpo nelle lunghe distanze è sicuramente
autodistruttivo, per un amatore, un’atleta che ama lo sport e non è
stato dotato da madre natura delle potenzialità per vincere, la
competizione dev’essere divertimento.
Secondo
me, il fascino di queste manifestazioni, sta nel riuscire a dosare
perfettamente le proprie energie tagliando il traguardo quando la spia
della riserva inizia a lampeggiare, riuscire ad ottenere un buon risultato
senza “faticare”, capra e cavolo. Altrimenti, se il distributore è
ancora lontano e dalla marmitta esce fumo nero, allora… inizia
l’impresa.
Di
seguito, a titolo di cronaca sono illustrati i miei tempi parziali, con
gran soddisfazione e fortuna sono riuscito a tenere un’andatura
costante, il massimo per me. Per andare oltre bisognerà chiedere
consiglio ai finlandesi!
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km 10
|
km 25
|
km 30
|
km 40
|
tempo
|
disl.(circa)
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1° giro km 40
|
34'03''
|
47'06''
|
14'17''
|
34'32''
|
2h10'01''
|
720
|
2° giro km 20
|
33'01''
|
|
|
33'18''
|
1h06'20''
|
360
|
3° giro km 40
|
32'18''
|
47'46''
|
15'59''
|
33'51''
|
2h09'57''
|
720
|
totale
|
|
|
|
|
5h26'18''
|
1800
|
La redazione ringrazia FLAVIO ZANET zanetf64@libero.it