Cari amici,
La mia stravaganza sportiva 2006 era
centrata sull’UTMB (Ultra Trail del Mont Blanc). Una corsa a piedi
non-stop sul famoso sentiero TMB attorno al Monte Bianco. A spanne, un
ambiente paragonabile alla nostra Alta Via n°1 (dal lago di Braies a
Belluno).
Nonostante le iscrizioni fossero già
chiuse a dicembre (2000 persone) e ci fossero a disposizione a marzo altri
500 posti, non era mia intenzione iscrivermi al giro intero. Completare
158 km con 8500 m D+ avrebbe significato almeno 30 ore d’impegno (per
classificarmi entro i 100).
Dovevo essere realista, per la prima volta
in carriera, avrei scelto il corto (solo 86 km con 4597 m D+) Dovevo
essere anche coerente: da parecchi anni, infatti, mi imposto di non
protrarre uno sforzo continuo oltre le 24 ore. Approfittai quindi di
questo” evento collaterale” introdotto nel 2006, prenotando uno degli
ultimi numeri disponibili su 1300 circa.
Ero rimasto talmente colpito dalla
concentrazione così elevata di matti che… volevo vederli in faccia, non
era concepibile per me vederne così tanti in un colpo solo. Inoltre,
essendo il percorso Courmayeur – Chamonix (cioè il corto) estremamente
simile al Grappa – Cansiglio dello scorso anno, volevo farne un personale
paragone a distanza.
Fine agosto ’06. Mi trovo da qualche
giorno in vacanza con i miei famigliari a Chamonix.
Il tempo è bello, quindi ne approfittiamo
per camminare, arrampicare, o visionare la parte notturna della gara. E’
veramente difficile per me riposarmi con questi panorami!
Fortunatamente alla vigilia piove (nevica
fino a 2000 m), riesco così a trascorrere la giornata senza andare a
correre. Incontro qualche italiano (pochi) fanno tutti il lungo, ne sarei
quasi lusingato. Effettivamente la preparazione non varia di molto (cambia
il dopo), poi, un poco amareggiato, mentre sto per ritornare in
appartamento, incontro Simone Moro (1^ traversata solitaria dell’Everest
2006) che mi dice: Ma guarda che è il corto più lungo del mondo!
Ecco la carica giusta che mi serviva per domani.
Venerdì 25 agosto ore 11:30 Tra
mezz’ora partirà la gara. Volevo vedere che facce avevano i miei
avversari? Eccomi accontentato. Sono usciti tutti dallo stesso stampo:
facce tirate ed abbronzate, peso ed occhiali ultraleggeri, capelli rasati
coperti da un cappellino con visiera.
Mi ero prefisso di impiegare 13 ore
classificando di conseguenza entro la 50^ posizione, ma… vedendo i miei
colleghi, non mi sento più così sicuro. Ho difficoltà a scartarne 1250!
Effettivamente 13 ore di corsa, in un
ambiente poco conosciuto, con lo zaino (semiautosufficienza con lista di
materiale obbligatorio) e ultime ore al buio, significano, in proporzione,
sentirsi in grado di percorrere il TV1 in 12 ore. Era quello che avevo
detto un anno fa, e… ora me lo devo dimostrare.
Partiamo, devo lasciarmi subito sfilare,
non è una Transcivetta. La stradina diventa ben presto un sentiero ripido
che mi porta al rif. Bertone dove, nonostante la gran fatica, transito 89°
con soli 2 minuti di anticipo sulla tabella di marcia. Ora però per
arrivare al Bonatti c’è un lungo saliscendi per rifiatare e mangiare. Più
avanti, sulla discesa che porta ad Arnuva, vedo che questi montanari
non se la cavano molto bene quando il terreno scende. Ne approfitto, poco
però, perché inizia subito la salita più importante della giornata: il
Grand Col Ferret.
Durante la rampa scorrevole ma tortuosa,
riesco finalmente a staccare gli occhi dal terreno; il panorama alla mia
sinistra è favoloso, evidenziato ancor di più dalla neve caduta ieri.
Molte cime e ghiacciai visti finora solo in fotografia, pareti che hanno
fatto la storia dell’alpinismo, sono qui davanti a me.
Dopo un’ora di fatica, ad ¼ di gara,
raggiungo la Cima Coppi (m 2537). La neve si è sciolta, ma resta un forte
vento freddo da nord. Proprio sul culmine, gli organizzatori hanno
sistemato un invitante bivacco provvisorio; entrare lì dentro senza un
ricambio asciutto… significherebbe la fine!
Meglio perdere quota. Ora mi trovo
finalmente in una piacevole, morbida e lunga discesa svizzera.
Mi sembra di essere in autostrada, anche
perché impiego 95 minuti per scendere al casello successivo.
La felicità di correre rilassato e
contemporaneamente superare qualcuno, mi ha nascosto il nascente problema
allo stomaco. Probabilmente ho mangiato troppo e non riesco a digerire.
La salitella successiva che porta a
Champex Lac, evidenzia ancor di più il problema. Sono in crisi. Ho ancora
un discreto margine da gestire sulle mie previsioni, decido allora di
rallentare. Fortunatamente attraverso qualche borgata di case; sono tutti
fuori ad incitare i corridori, sembra di essere al Tour: Bon courage,
Bravò Flaviò. Trovo anche bambini che corrono fin che possono al mio
fianco augurandomi… non so cosa.
Sorrido, saluto con la mano, rispondo:
Mercì, e continuo.
Finalmente raggiungo il lago di Champex
dove è situato l’unico ristoro ben fornito della gara (negli altri avrei
dovuto trovare solo acqua). Siamo a metà fatica. Dovrebbe trattarsi di un
ristoro – sagra perché nella statistica dello scorso anno, davano
un tempo medio di sosta di 45 minuti. Qui prendono anche il tempo del Pit
Stop.
Effettivamente, dal fumo e dall’odore,
Lèon e Gaston, come da Road Book, si stanno dando un gran daffare con
torte, salsicce, patatine, brodo… Il mio stomaco, però rifiuta tutto;
riempio la sacca di liquidi, indosso tutto quello che ho con me per
cercare di scaldarmi, e riparto. All’uscita saluto i miei famigliari che
sono venuti in pullman per incoraggiarmi; non facciamo grandi discorsi,
loro sono contenti di avermi visto, ed io pure.
La corsetta continua, sento freddo anche
in salita, anche se con l’abbigliamento che ho indossato, potrei sciare.
Fortunatamente non piove, così riesco a completare anche la terza discesa
importante della giornata con la luce solare.
Ora mi trovo a Trient sul confine
franco-svizzero, mentre attraverso la strada asfaltata, noto un segnale
stradale che indica: Chamonix 24. Anche se stanco, in leggera discesa, in
poco più di 2 orette sarei arrivato; e invece no! Mi fanno tagliare
per i boschi, ne avrò ancora per 4/5 ore.
Nonostante il disagio, ho ancora un
discreto margine da gestire che mi permette una certa tranquillità di
salita (760 m/h).
Poco prima del ristoro di Les Tseppes,
vengo raggiunto da Paolo di Viareggio (finalmente un italiano), il solito
collega già incontrato in precedenza, che solitamente raggiungo in
discesa; mi chiede se dopo aver scollinato resto con lui in discesa, è la
prima volta che usa la frontale e non si sente molto sicuro.
Lì per lì non so cosa rispondere, poi
effettivamente noto che con la pila, anche se tenuta in mano per avere
un’illuminazione più radente, non si può scendere a 100 km/h!
In una notte senza luna, dispersi nei
boschi, nel buio e nel silenzio più assoluto, si rende molto di più in
compagnia. Io traccio le discese, mentre lui passa davanti in piano per
poi allungare in salita; cerco di non farmi tirare il collo, ma è
difficile. Nel suo curriculum ci sono anche 4 Ironman delle Hawaii
(personale di 8:51), è impossibile sfiancarlo! Quattro occhi vedono meglio
di due, perciò quando il sentiero lo consente, procediamo appaiati
cercando di sbagliare il meno possibile.
Finalmente in lontananza vediamo le luci
di Vallorcine, penultimo ristoro a meno di 3 ore dalla fine.
Veniamo accolti nella casetta con
spontaneo calore da tutta la comunità, neanche fossimo i migliori! (è da
un pezzo che Paolo mi assicura che siamo messi bene, ma non gli voglio
credere).
Mentre mi preparano il caffé mi siedo su
una spartana sedia di legno: è una sensazione estremamente piacevole (e
pericolosa), non mi sono mai sentito così comodo!
Aggiungo un po’ d’acqua alla mia razione
bollente e trascino fuori l’amico. Ripartiamo su una comoda stradina; un
tempo questo percorso, era il tragitto della diligenza tra Martigny e
Chamonix.
In breve lasciamo alle nostre spalle anche
l’ultimo colle: quello di Montets. Ecco davanti a noi l’Houte-Savoie. In
lontananza emergono piccole lucine, sono quelle della cittadina di
Chamonix: la nostra meta.
La strada asfaltata propone ora una
piacevole e pennellabile discesa fino all’arrivo. E… invece no! Come a
Trient, dopo essere scesi attraverso l’orto botanico fino ad Argentiere
(ultimo ristoro), continuiamo a scendere sul sentiero che sale
deciso al Petit Balcon Sud.
Come il solito, le ultime rampe sono
sempre le più faticose. E’ dal primo pomeriggio che non mangio, non credo
comunque dipenda solo da questo; Paolo, infatti, non è molto più brillante
di me.
Ogni tanto facciamo qualche fortunoso
ruzzolone, ma riusciamo subito a riprendere la corsa, magari dandoci la
mano per accelerare la ripresa. Siamo ormai alla fine delle energie
disponibili: cerco di spremere lo spremibile immaginandomi un limone,
avanzo così di un paio di metri sul compagno; poi, quando rilascio la
mano, il toscano ritorna in vantaggio. Mi sembra di essere tornato ai
tempi della Vespa, quando scuotevamo il mezzo in riserva, per riuscire a
percorrere ancora qualche metro!
Il ghiacciaio del Bosson, indirettamente
illuminato dal riverbero notturno di Chamonix, è ormai ortogonale a noi;
non può mancar molto alla fine. Ci sono sempre più persone sul sentiero,
con o senza pila, a borbottarci qualcosa. Alcuni di loro,
identificati solo con l’orecchio all’ultimo istante, invece di
incoraggiarci creano l’effetto opposto. Ma ecco arrivare l’ultima
discesetta, la riconosco dal rumore delle turbine dell’acquedotto
cittadino: Ci siamo, ci siamo!
Infatti, subito dopo montiamo
sull’asfalto, guardo l’orologio: sono le 23:50. Comunico al compagno che
abbiamo 10 minuti a disposizione per coprire gli ultimi 1500 m.
Dai Flavio, 3.10 al km e via.
Dice il maratoneta.
Paolo, non esagerare, io non ho 2:20 in
maratona!
Finiamo così in piena spinta e con gran
gioia, la nostra pazza avventura in 11:56, un’ora meno del previsto e…in
anticipo anche su Cenerentola. Siamo dodicesimi, solo un italiano davanti
a noi: O. Beltramino (meno di 22 ore alla Nove Colli Running 2005). Data
l’ora non c’è molto pubblico, forse… dovevamo arrivare prima!
Il tempo massimo di 24 ore per terminare
la gara, combaciava con l’inizio delle premiazioni. Così, il giorno
seguente mentre andavo a vedere se… c’era qualcosa anche per me, ho
visto arrivare gli ultimi concorrenti del mio percorso: tra due ali di
folla, annunciati per nome in largo anticipo, arrivavano veramente
provati. Alcuni di loro avendo i piedi distrutti, camminavano con le
scarpe in mano, parecchi avevano gli occhi lucidi per la gioia.
Avevano faticato sicuramente il doppio di
me. E quelli del percorso lungo? Quelli che erano partiti 7 ore dopo di
noi e sarebbero arrivati (quella metà che sarebbe riuscita ad arrivare)
tra 28 ore?
E’ difficile immaginare l’immensa forza di
volontà che hanno queste persone, soprattutto chi parte pensando ai tempi
massimi nei vari punti del percorso. Pensare di faticare ininterrottamente
per due giorni, al limite del regolamento, con l’incubo di venir fermati
magari verso la fine per un banale ritardo, gettando di conseguenza tutto
all’aria!
Non si tratta della ritirata dalla Russia,
ci si iscrive volontariamente e coscienti (o quasi) di cosa si va
incontro, quindi, soprattutto chi spera solo di arrivare, deve
portare con se un’enorme determinazione.
La preparazione:
Esprimendo il mio personale parere a
favore di chi, lontano da questo tipo di competizioni, ritiene l’impegno
(per gli 86 km) sovraumano, vorrei affermare che: non è impossibile!!!
Personalmente devo affermare che non ho
fatto nulla di troppo scientifico. Credo che in questo tipo di prove,
conti innanzi tutto la ferma convinzione di riuscirci: prima e soprattutto
durante la gara. Secondo una mia personale teoria, credo sia molto
importante anche il lavoro svolto l’anno precedente; in poche parole:
bisogna pensarci per tempo. Infatti, in quest’annata, non ho corso neanche
una maratona su strada. Mantenendo una base di 20-25 km/settimana (a
piedi), sono arrivato fino all’estate. Tra aprile e giugno ho fatto una
decina di uscite in bici tra le 5 e le 9 ore per allungare gli
allenamenti; poi, tra luglio ed agosto, 6 uscite in montagna a piedi tra
le 3 e le 6 ore, per un totale (a piedi) inferiore ai 1000 km dall’inizio
dell’anno. Poco (almeno per me), ma indispensabile per arrivare integro
all’estate; infatti, senza le esperienze degli anni scorsi, mi sarei
sicuramente spento tra i boschi.
(Mont Blanc da Argentiere)
Flavio
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