Messa così sembrerebbe una
storia di quelle che i bambini non devono leggere ma, se aggiungiamo la
parola “gelso”, subito tutto va a posto, almeno per coloro che hanno più di
30 anni.
Le more sono i frutti del gelso, un albero la cui forma è spesso il
risultato di sapienti potature. Un tempo era elemento diffusissimo nelle
siepi, allora numerose e intricate.
Nei vigneti faceva da sostegno alle viti, e lo si trovava anche in filari e
in piantagioni.
Le more bianche erano quelle del gelso “bianco”, la varietà introdotta in
Italia probabilmente insieme al baco da seta, il bruco che si nutre delle
sue grandi foglie.
Più raro è il gelso “nero”, giunto in Italia dall’Oriente già
nell’antichità; “selvatico, buono solo a far rami, con foglie inadatte a
sfamare i bachi”. Ha comunque un legno eccellente, usato anche in
falegnameria.
In dialetto i bachi da seta erano detti “ cavalieri“, non si sa bene il
perché. Il loro allevamento è secolare; tutti i nostri anziani li
conoscevano fin da piccoli. Sul baco da seta si reggeva una vera e propria
economia, che legava il lavoro contadino agli essiccatoi, alle filande e
all’industria della seta. Poi, negli anni ’50, l ‘industria della seta
entrò in crisi e le filande cominciarono a chiudere. Negli anni ‘60
quest’attività giunse al tramonto. Tuttavia, fino a 40 anni fa, per chi
viveva nei campi, i bachi da seta rappresentavano una risorsa di valore
primario. Se occorreva denaro per una dote, per una malattia o per saldare
un debito solo i bozzoli ( in dialetto “ le gaete”) potevano provvedere.
Racconta con piglio sicuro Luigia che, poco distante da Colfrancui, una
famiglia riuscì a pagare in anticipo sul pattuito l’acquisto della terra
perché, per una combinazione rara di fatica, abilità e fortuna, ebbe alcuni
raccolti abbondantissimi di bozzoli. “Avevano messo i bachi a filare
persino sui balconi”
Quando arrivavano in casa, i bachi da seta erano dei cosini neri, quasi
invisibili, che poi, poco a poco, diventavano dei bruchi lunghi e grossi
come un dito. Nel primo periodo venivano nutriti con foglia tagliata in
sottili striscioline. Bisognava arrampicarsi sui gelsi ogni giorno per
tagliare i rametti, poi si toglieva il fogliame , tagliarlo e darlo ai bachi
spargendolo delicatamente sulle graticole , le “ grisioe” . Per tagliare la
foglia si usava una strana macchinetta, che forse ha ispirato il
costruttore della prima imballatrice da fieno. Quando i bachi mangiavano, e
questa era un cosa che facevano praticamente di continuo, si sentiva il
rumore prodotto da migliaia di minuscole mandibole al lavoro. Erano
bestioline delicate e bisognose di tepore. Così venivano disposte nelle
cucine, nei solai, nei fienili sopra le stalle, dovunque ci fosse posto. E
guai a produrre odori o fumi strani: i “cavalieri” ne risentivano subito.
Gli esseri umani si adattavano nel poco spazio che restava.
A questo proposito Rosa ricorda di una casa andata a fuoco a causa di una
stufa accesa per scaldare proprio i bachi.
Se poi capitava una grandinata o una brinata bisognava provvedere in poche
ore.
Gli uomini partivano coi carri o con i camion e andavano a prendere “ la
foglia” anche a 30 km di distanza.
Pietro narra della vita del contadino in quegli anni. Nella stagione dei
bachi da seta la giornata non finiva mai. Oltre ai bachi, che andavano
nutriti ogni 3 o 4 ore , c’erano la stalla, la mungitura, il letame,
e poi il primo sfalcio dell’erba, il fieno, le viti da irrorare …E magari
nel frattempo c’era da occuparsi del mais. Si passava da un lavoro
all’altro senza pause, e quasi sempre a forza di braccia, uomini e donne.
C’è da immaginare che quando andavano a letto cadessero in un sonno di
piombo.
La mattina dopo sveglia alle quattro: i bachi aspettavano.
Secondo Rosa l’allevamento di queste bestiole è finito perché la gente “ si
accorse che poteva vivere anche senza”. Alessandro la pensa diversamente “I
bozzoli non erano pagati più niente e la gente smise di allevarli “. Deve
aver pesato anche l’introduzione di anticrittogamici e prodotti chimici vari
che, entrati nella catena alimentare dei bachi, ne compromettevano il ciclo
vitale. I bachi si ammalavano in massa ( diventavano “bigatti” o “vacche”)
e non producevano più i bozzoli.
Questa era una iattura da evitare in ogni modo, anche con atti di ingenua
devozione. Alessandro racconta la storia dei “moreri delle anime”. Si
trovavano nelle fitte siepi che fiancheggiavano le strade verso Fontanelle.
Le loro foglie ( e i bozzoli con esse ottenuti) erano destinati alle
parrocchie o a istituti religiosi nella speranza di un po’ di benevolenza
dall’alto. Una benedizione ben fatta poteva scacciare le formiche, nemici
mortali dei bachi. D’altronde erano anni in cui la salute e la fertilità
del bestiame era ancora affidata a “santini “ inchiodati sulle travi delle
stalle. Altro che antibiotici!
A un certo punto, i bachi cominciavano a filare, a costruire un bozzolo in
seta, al cui interno si sarebbero trasformati in farfalle.
Finalmente veniva il momento della raccolta delle gallette, una specie di
festa familiare. I bozzoli finivano negli essiccatoi, dove , dopo
l’essiccatura a caldo, venivano selezionati in vari modi. Vi lavorava
soprattutto personale femminile, per via delle dita agili. Giovanna, che
cominciò a lavorare in un essiccatoio vicino a Oderzo a 12-13 anni,
spiega che bisognava dividere i bozzoli dalla seta immacolata da quelli
macchiati, troppo teneri o difettosi. Ogni errore costava multe salate o
addirittura il licenziamento.
Infine c’era la filanda. Quell’esperienza è ancora ben presente nei ricordi
di Olga.
“ Nella filanda Giol, a San Polo di Piave, lavoravamo con le mani immerse
in bacinelle d’acqua caldissima per dipanare i fili di seta e poi farli
avvolgere in matasse. Quando non ne potevamo più, raffreddavamo le mani in
altre bacinelle d’acqua fredda. Eravamo sempre avvolte nel vapore ma non
c’era da lamentarsi. Era già una fortuna lavorare”.
Ma nella casa di campagna non era ancora finita. C’era da disfare i letti
dove i bachi erano vissuti nel periodo precedente l’imbozzolamento. Erano
ammassi di rami, foglie marcite ed escrementi maleodoranti che andavano
raccolti e portati fuori dalle case. Infine le donne lavavano i pavimenti
con acqua bollente e cenere. Quello era il lavoro peggiore!
Un altro piccolo guadagno veniva dai sottili rami del gelso: privati della
morbida
corteccia erano molto simili ai vimini e venivano venduti ai cestai del
Piave.
Non basterebbe un libro per raccogliere tutte le storie nate intorno a
questa epopea.
Elves
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