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DAL GRAPPA AL CANSIGLIO. L'ALTA VIA TREVIGIANA

                                                                                                                                                                     PREALP 5000 08/2005  

Mi trovo a Grindelwald, famosa località dell’Oberland Bernese ai piedi dell’Eiger-Nordwand. Sto trascorrendo una breve vacanza con i miei famigliari e vorrei scrivere il racconto di “Prealp 5000” proprio in questi luoghi, fertile terreno d’ispirazione per scrittori (molto più illustri di me) del secolo scorso.

Dal mio arrivo, 48 ore fa, continua incessantemente a diluviare. Si vedono cascate su ogni pendio e torrenti ingrossati ovunque. Mi sento letteralmente assediato in casa, di conseguenza, non riesco a concentrarmi. Devo assolutamente uscire!

Mi metto a correre in salita sotto la pioggia battente verso un rifugio lontano.”Immerso” nella natura rilasso la mente, l’acqua mi “rinfresca” le idee,  ora inizio a ricordare…

La storia iniziò 3 anni fa, dopo Otonga Ultramarathon, quando mi capitò tra le mani una guida illustrante il sentiero “Dal Grappa al Cansiglio” detto: TV1.

L’itinerario escursionistico suddiviso in 9 tappe, si snodava tra lo spartiacque Treviso - Belluno. Considerando solo l’essenziale: collegare in pratica cima a cima, restavano lo stesso 6 tappe; uno sviluppo di circa 90 km con un dislivello di 5000 m. Togliendo anche zaino e scarponi restava comunque una faticaccia troppo grande per me.

Da quando ho iniziato a correre ho sempre spostato in avanti i miei limiti, a volte migliorandomi. In questo caso invece, era evidente che mi sarei distrutto, anzi… autodistrutto!

Proposi allora il corposo progetto a Daniele, già abituato a questo genere di fatiche, mi sarei così sentito ugualmente partecipe, anche se solo come collaboratore.

Lui invece mi incastrò subito affermandomi che avremmo dovuto farla assieme, e… tutta a piedi!

Non ci ho mai pensato seriamente, perché non la ritenevo per me fattibile. Poi, le tappe di avvicinamento a Klaghenfurt ’04, l’Ironman stesso e soprattutto Passatore ’05, mi hanno spinto ad osare.

Nel frattempo, problemi ed impegni pervenuti a Daniele, mi hanno riportato la bomba, ormai innescata, tra le mani; potevo rischiare di lasciarla esplodere (cioè arrendermi prima di partire) o di scoppiare io durante la corsa.

Mi trovo ora sul piazzale di Cima Grappa, sono le ore 22:00 del 10 agosto ed è buio da un pezzo. Disteso in automobile a fianco di Stefano, sto cercando di riposare qualche ora prima di iniziare la traversata, ma… vengo costantemente aggiornato in tempo reale dall’avvistamento di una stella cadente. E’ S. Lorenzo! Nel piazzale c’è un continuo ricambio di astronomi che sono saliti fin quassù per vedere qualche strisciolina luminosa nel cielo.

Il tempo non è stabile, a volte il vento ci soffoca di nuvole dandoci la sensazione di essere da soli in montagna, poi tutto si dissolve regalando un cielo limpido agli appassionati; allora è come trovarsi allo stadio durante un’importante partita di calcio!

Finalmente suona la sveglia, sono le 3:10. I tifosi se ne sono andati da poco. In queste poche ore di riposo tra un goal e l’altro, ho pensato spesso all’avventura. Le previsioni meteo non sono molto buone, ma, oltre a questo, ieri sera sono rimasto particolarmente impressionato dalla distanza visiva che c’è da qui al Piave, dove dovrei trovare il Ponte di Fener (1/6 di fatica).

Dopo una frugale colazione, faccio il riepilogo delle consegne al compagno di camera e mi dirigo verso il sentiero (quello che ieri pomeriggio non riuscivamo a trovare).

Da subito la nebbia crea dei problemi di riverbero alla mia pila frontale, con un po’ di attenzione (e fortuna), mi ritrovo sull’asfalto del Colle della Mandria. Inizio la discesa tra i ripidi tornanti del Piccolo Stelvio senza fretta; il sentiero corre alla mia sinistra, sarebbe vantaggioso perché più corto, ma troppo pericoloso con il buio.

Viaggiando verso le lontane luci della pianura, vengo incoraggiato da qualche rapace notturno o, più piacevolmente da una calda tazza di the offerta da Stefano. Oltre l’Osteria Monfenera, superato indenne un incontro ravvicinato con due occhi rifrangenti di un (cane) lupo, ritorno sul sentiero.

I rovi a tratti molti fitti non agevolano la mia discesa, è evidente che le zone a bassa quota sono poco frequentate.

Fuori del bosco trovo la pioggia a farmi compagnia. Sono le 6:00. Percorro quel breve tratto d’asfalto che mi riporta in Sinistra Piave nella semioscurità, sembra autunno inoltrato, transitano poche auto; mi sento fuori luogo, “Cosa sto facendo?”

Sull’altra sponda trovo Stefano pronto a seguirmi a piedi; ci sono anche Ignazio (mio padre) e Pietro venuti a salutarmi prima di salire a Pianezze. Basta però una loro stretta di mano per ricaricarmi.

Mentre divoro un panino con prosciutto, riparto in salita: ancora rovi, ancora pioggia, ora però siamo in due e possiamo chiacchierare; spunta allora dentro di me un piccolo raggio di sole.

Finita la merenda mi accorgo che siamo partiti con 25 cl di acqua in due! Pazienza… le nuvole sono con noi.

Strada facendo incontriamo un paio di caprioli tra i prati, poi qualche casera ed ancora prati fino a sbucare (purtroppo) sopra Pianezze, oltre il ristoro prefissato. Mentre chiedo a Stefano di far salire i rifornimenti, continuo l’ascesa solitaria verso il Barbaria, dove trovo Pietro con una squisita bottiglietta d’acqua. Al Mariech ci riforniamo di liquidi (mi rifornisce, perché io non ho un euro) e proseguiamo sul soffice falsopiano che porta a Posa Puner. Presso la caratteristica chiesetta, finalmente riceviamo il prezioso contributo energetico da parte di Ignazio che ci permetterà di continuare oltre Malga Mont fino a Praderadego.

La temperatura è ottimale per correre, senza particolari intoppi, con Pietro che fa una corsa nella corsa per riuscire a digitalizzare qualche immagine, raggiungiamo il valico dei romani.

Nella zona cambio allestita dall’immancabile Ignazio, sono forse un po’ troppo veloce, ripartendo in anticipo su Pietro che, non conoscendo il percorso e, seguendo varie risposte errate, si dirige a lunghe falcate verso Follina. Non vedendolo arrivare, mi fermo 5 minuti su uno spuntone panoramico, poi, rendendomi conto che non potrà più raggiungermi, proseguo. Il S. Boldo non è lontano, troverò qualche buonuomo per un sorso d’acqua! Transito ai Loff con la lingua a penzoloni come il Lupo Alberto, ma di traccia umana neanche l’ombra. Proseguo, ormai manca poco al prossimo passo stradale dove troverò Stefano: il salvatore.

Finita la discesa, mi ritrovo a cercare il mio ristoratore sopra il ponticello che sovrasta il S. Boldo. Anche di lui… neanche l’ombra (scoprirò ore dopo che si trovava a 100 m da me). Sono quasi le 11:30. Entro nel bar vicino per telefonargli ma, mi ricordo di non ricordare il suo numero telefonico; telefono allora a mio padre dicendogli: ”Avvertilo, e… mandalo a pagare il conto!” Mi abbuffo per bene al banco e riparto in discesa (sarebbe salita, ma ho appena aggirato la boa di metà percorso).

Superata anche l’asperità che porta alla Cisa senza badare troppo alle eventuali bisce tra l’erba, scendo alla Posa dove mi sta aspettando Antonello. Ci scambiamo a vicenda qualche aggiornamento sull’andamento della corsa; non gli nascondo la mia soddisfazione per l’attuale condizione fisica, anche se ho qualche tensione muscolare dovuta probabilmente alla carenza idrica.

Bevendo e chiacchierando, raggiungiamo in breve il Pian de le Femene; il nostro addetto ai ristori ha già preparato tutto, dobbiamo fare comunque attenzione a cosa portiamo con noi: ci aspetta il tratto più lungo non assistito.

Passando vicino ad una bella casera, sentiamo un piacevole odorino, non sarebbe una brutta idea fermarsi per una salsiccia; sono le 13:00 e per le persone normali questa è ora di pranzo. Il Pizzoc però, più vicino che mai, ci fa cenno di continuare.

Piove nuovamente, come previsto. Le piante dei miei piedi lessati, vengono messe a dura prova. Annaspiamo tra l’erba alta per riguadagnare il crinale che ci porta all’Agnellezze, per riscendere subito dopo a Forcella Zoppei.

A questo punto l’itinerario ufficiale non è chiaro: ci sono guide che indicano il passaggio per il Visentin (logico dal punto di vista dello spartiacque) che però non chiariscono come scendere a Fadalto, altre che suggeriscono il Troi de Mez (logico per risparmiare dislivello). Decidiamo (decido) per la seconda variante; ci accoglie subito una piacevole stradina in discesa che sbocca in un sentiero ben curato. Avanziamo per pochi minuti e ci ritroviamo tra erba alta mai calpestata. Che facciamo? Dopo una breve ricerca, non ci resta che ritornare sui nostri passi fino alla forcella e, ancora più su, tra le nuvole sature di umidità, verso il Visentin. Raggiungiamo la vetta dopo le 15:00 e proseguiamo agevolmente in discesa fino al Rifugio B. A. Cadore. Come da relazione giriamo a destra trovando un incoraggiante cartello TV1, poi un altro, ed un altro ancora: siamo sulla buona strada… Ma dopo pochi passi, ancora la solita erba alta con pericolose roccette sopra che ci fanno spesso scivolare. La mia muscolatura ormai poco reattiva non mi permette di scendere veloce. Antonello invece, anche se con lo zaino in spalla, è molto più brillante. Nonostante ciò, su un tratto particolarmente scosceso e sporco, l’amico mette un piede in fallo slogandosi una caviglia. Mi sento impotente, ho già le mie difficoltà a scendere da solo, non saprei come aiutarlo.

Decido allora di scendere comunque fino alla sella, vorrei far risalire Gabriele con un paio di bastoncini da walking per aiutare l’infortunato.

La via però è molto tortuosa, con vari incroci, e, molto più lunga del previsto. Il tempo sta per rimettersi al brutto, Antonello è rimasto solo, mi viene in mente che, raggiunto il Fadalto, sarà meglio che risalga anch’io con Gabriele a cercare il compagno sfortunato. Non avrebbe molto senso che io proseguissi da solo verso il Pizzoc, Gabriele vagasse inutilmente tra i boschi ed Antonello cercasse senza cellulare l’intervento di Ivan dall’alto!

Raggiunto finalmente l’asfalto vicino (molto vicino) il Lago di S. Croce, risalgo alla sella dove incontro più amici del previsto. Ci sono anche Pietro e Stefano che mi convincono a proseguire la mia corsa con Gabriele, mentre loro torneranno indietro; Ignazio con Sergio (il sostenitore aggiunto) mi aspetteranno al Pizzoc.

Detto velocemente una relazione per dare qualche remota possibilità ai soccorritori di ritrovare Antonello e riparto con il nuovo accompagnatore.

Ora mi sento più rilassato, è spuntato anche il sole, sono le 17:00, ho tutto il tempo per salire questi ultimi 1100 m prima dell’imbrunire.

Chiacchierando a tutto campo con l’amico, mi ritrovo sui prati di Casera Prese. Ancora un’oretta di falsopiano nel bosco del Millifret e raggiungeremo la meta. Ci facciamo anche alcuni tratti di corsa, la mia non è proprio una corsa sciolta, la sua forse ancora più goffa grazie a scarponi, bastoncini e zainetto!

Usciti dal bosco vediamo (immaginiamo) la bandiera tricolore del Rifugio Vittorio Veneto, ormai ci siamo, ancora pochi passi ed… è finita. No, mi sbagliavo… iniziano i festeggiamenti!

Antonello non stava poi così male perché è riuscito a scendere da solo mentre Pietro e Stefano hanno continuato a cercarlo fino a sera.

Tutto è finito quindi nel migliore dei modi. Non dovevo e non dovevano aiutarmi a battere nessun record, volevamo solamente trascorrere una diversa giornata di ferie e per quanto mi riguarda, ci siamo riusciti.

Ho aggiunto così un nuovo tassello alle mie strane “imprese” Ora è ancor più bello, la domenica mattina, quando l’aria fresca è indice di ottima visibilità, cavalcare la bici verso i monti.

Il panorama delle nostre prealpi, resterà per sempre impresso dentro di me. Una foto che non necessita certo di “cornice” Che attende solo di essere “appesa al chiodo” il più tardi possibile (vedi Enio S.) Per questo, cari amici, credo non sia indispensabile andare in Nepal per cercare l’avventura, se le nostre montagne non le saliamo noi, chi lo deve fare?

 

                                                                               Flavio